Le relazioni di America ed Ue con la Cina, tra decoupling e derisking

Mariarosaria Marchesano

Gli Stati Uniti riconoscono che il disaccoppiamento da Pechino ha un costo. Anche per l’Europa

Un anno fa, a pochi mesi dall’invasione russa dell’Ucraina, il segretario di stato americano, Janet Yellen, suggeriva il “friendshoring” (fare affari con i paesi “amici”) come arma contro il potere di ricatto di nazioni non democratiche da cui l’Occidente dipende per le forniture di materie prime. Due giorni fa Yellen, parlando alla Johns Hopkins University, ha detto che interrompere le relazioni commerciali con la Cina sarebbe uno sbaglio per tutti. In mezzo c’è la presa di consapevolezza che disaccoppiare l’economia americana da quella cinese (“decoupling”) non è così semplice a meno che non si voglia distruggere la globalizzazione costruita negli ultimi 30 anni senza avere un’alternativa che garantisca la crescita economica

 
“Ma attenzione – dice al Foglio Aldo Pigoli, analista geopolitico e docente di analisi delle relazioni internazionali all’Università Cattolica – un conto è la strategia, un altro è la tattica: mi pare che gli Stati Uniti non rinuncino a difendere il loro principio, ma l’amministrazione Biden sta facendo un passo indietro rispetto all’estremismo trumpiano per adottare  un approccio più pragmatico di apertura verso la Cina a patto che questa sia disponibile a riconoscere e a condividere le regole del gioco che sono quelle dell’economia e del commercio globale”. L’America, dunque, corregge un’impostazione che, alimentando crescenti tensioni geopolitiche, rischiava di produrre il declino del commercio mondiale e della globalizzazione? “Più che correggere la rotta, Biden cerca di gestirla – replica Pigoli –. Però è vero che questo approccio offre maggiore spazio di manovra all’Europa per costruirsi un posizionamento tra Stati Uniti e Cina che sia in linea con i propri interessi”.  


E’ un dato di fatto, come osserva l’economista Lorenzo Codogno nella sua ultima newsletter, che i legami commerciali tra l’Eurozona e la Cina sono forti e quindi il “disaccoppiamento” sarebbe quasi impossibile. Ma anche il “derisking”, la soluzione più morbida avanzata dalla Commissione europea che implica l’indipendenza dalla Cina per le forniture in settori strategici come i microchip, secondo Codogno, “finirebbe con il soffocare il dinamismo del commercio bilaterale e i rapporti d’investimento: le recenti visite in Cina di leader europei sono una testimonianza di quanto le grandi aziende europee siano desiderose di continuare a fare affari con la seconda più grande economia del mondo”. 


Il dato di fatto con cui bisogna fare i conti è che la riapertura della Cina, dopo i prolungati lockdown per il Covid, sta avendo effetti positivi sulla catena di approvvigionamento globale e probabilmente produrrà un pil superiore alle aspettative (BofA ha appena aggiornato la previsione di crescita della Cina portandola al 6,3 per cento rispetto al 5,5 per cento). E l’effetto si sentirà presto anche in Europa a cominciare dal turismo e dallo shopping di lusso. Codogno ricorda alcune recenti mosse di paesi europei. “Amici cinesi, la Francia vi accoglie a braccia aperte!” ha scritto l’ambasciata francese su Weibo (una sorta di versione cinese di Twitter). Austria, Danimarca, Paesi Bassi, Portogallo e Spagna hanno pubblicato inviti simili annunciando la graduale eliminazioni delle restrizioni sanitarie all’ingresso. “Pertanto, è solo una questione di tempo e i turisti cinesi inizieranno ad affluire contribuendo alla ripresa dei settori più colpiti durante il pandemia – prosegue l’economista –. E questo significa anche acquisti di gioielli, borse, profumi e beni di lusso in Cina. Non è un caso che da quando Pechino ha deciso la riapertura, le valutazioni azionarie di Lvmh, Moet, Hennessy e Louis Vuitton siano tutte migliorate”. 


In definitiva, la riapertura cinese aiuterà la ripresa economica europea in corso, anche se non si può escludere un effetto collaterale indesiderato come l’aumento dell’inflazione, rischio sottolineato di recente dalla numero uno del Fondo monetario internazionale, Kristalina Georgeva. E’ possibile, alla fine, che il recente ammorbidimento degli Stati Uniti nei confronti della Cina dipenda dal riconoscimento dei benefici che ha prodotto la fine della politica zero Covid? “Gli Stati Uniti hanno compreso che più parlano di decoupling più il governo di Pechino si chiude nel suo autoritarismo economico – conclude Pigoli –. L’Europa deve approfittare di questo frangente per affermare una sua posizione come sta cercando di fare la Commissione europea evitando le fughe in avanti di alcuni paesi verso la Cina, ma cercando di non appiattirsi sugli Stati Uniti che non possono offrire all’Europa le risorse che servono per garantirne lo sviluppo economico”.
 

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