La prudenza del Def

La strategia sulle pensioni mette Meloni di fronte ai suoi vizi 

Marco Leonardi 

Confermato il taglio alla rivalutazione delle pensioni. Scelta dovuta, ma con tre problemi seri e molto caos in vista. Deficit al 4,5, debito giù

Il governo è giustamente prudente sui conti pubblici: il Def indica per il 2023 un deficit al 4,5 per cento del pil rispetto a un tendenziale a legislazione vigente del 4,35 per cento. Si tratta di poco meno di tre miliardi di deficit in più, dopo gli oltre venti già utilizzati con la legge di Bilancio per il 2023. Ma i conti girano solo grazie al taglio della rivalutazione delle pensioni. Il governo Meloni non ha esitato a “fare cassa” nell’unico modo che garantisce risparmi immediati di spesa pensionistica: la manipolazione della perequazione automatica delle pensioni in ragione dell’incremento del costo della vita. Il taglio alla rivalutazione delle pensioni sopra i 2.100 euro lordi (1.700 netti) imposto nella legge di Bilancio di questo anno a valere per il 2023 e 2024 produrrà perdite individuali che oscillano fra i 13 mila e i 110 mila euro accumulate su 10 anni per circa 3,3 milioni di pensionati (stima Itinerari previdenziali). Non è una novità, lo hanno fatto un po’ tutti i governi dal 2012 in poi; però un conto è tagliare la rivalutazione quando l’inflazione è pari a zero, un conto è oggi che l’inflazione viaggia attorno al 10 per cento. 

 
La storia è a grandi linee questa: nel 2012 nell’ambito della legge Fornero si stabilì il blocco dell’indicizzazione a carico delle fasce al di sopra di tre volte l’importo del minimo (fino a 1.400 euro lordi mensili nel 2012 l’indicizzazione restava al 100 per cento, al di sopra era zero). Il meccanismo della normale perequazione doveva tornare alla normalità nel 2017 ma con alterne vicende si arrivò fino alla fine del 2018. A quel punto il governo giallo-verde (Conte I) spostò in avanti di un triennio il ripristino della normale perequazione per finanziare quota 100 per tre anni.  I problemi, oltre all’inflazione che oggi galoppa mentre ieri era zero, sono tre. 


Il primo è che a tutti i tavoli con i sindacati (tutti i governi fanno tavoli con i sindacati sulle pensioni) si è sempre promesso che, scaduto il periodo di blocco, si sarebbe tornati all’indicizzazione normale delle pensioni. Tanto è vero che il governo Draghi ci tornò ma dopo pochi mesi arrivò la legge di bilancio Meloni. 
Il secondo problema è che la Corte Costituzionale già una volta ha dichiarato illegittimo il blocco e si dovette rimediare con un costoso aggiustamento dei conti pubblici. 


Il terzo problema è il più serio di tutti: per cosa si usano tutti questi miliardi a carico dei pensionati con più di 2.100 euro lordi al mese? 

  
Il Conte I li usò per quota 100 con i risultati che tutti sanno, il governo Meloni per quota 103. Quota 103 permette di andare in pensione con 62 anni di età e 41 di contributi, cioè poco prima del limite ordinario di contributi che è di 41 anni e 10 mesi per le donne e 42 anni e 10 mesi per gli uomini. Si tratta di un’anticipazione di pochi mesi per chi è già sulla via della maturazione della pensione con il numero di anni di contribuzione sufficienti. Chi non ha raggiunto i 41 anni di contributi deve aspettare i 67 anni di età della legge Fornero a meno che non abbia un’occupazione gravosa. 


La platea è di circa 40 mila persone in maggioranza uomini. Ma i paletti posti all’utilizzo di quota 103 sono tali che in realtà la platea probabilmente sarà minore. Non solo c’è il divieto di lavorare dopo aver preso quota 103 e il rinvio del Tfr, ma c’è anche un tetto alla pensione a circa 2.800 euro lordi mensili e perfino un bonus per convincerti a non usare quota 103 (!)


Contemporaneamente si è fortemente penalizzata opzione donna che oggi è sostanzialmente utilizzabile solo nelle crisi aziendali (stima di 2.900 donne). Eppure opzione donna funziona secondo un principio molto più equo della quota: il principio del calcolo contributivo per cui l’anticipo pensionistico si paga in proporzione agli anni di contributi versati. Un giorno qualcuno dovrà spiegare perché alle donne da anni ormai si impone la possibilità di anticipare la pensione con il ricalcolo contributivo. E perché per i “giovani” che hanno iniziato a lavorare dopo il 1996 il calcolo è contributivo anche se ormai hanno quasi 30 anni di contributi mentre chi oggi vuole anticipare la pensione ottiene l’anticipo gratuito con la quota. 

  
Insomma se si vuole far pagare ai pensionati l’anticipo della pensione per i pensionandi, tanto vale fare una riforma seria che estenda il contributivo a tutti quelli che vogliono anticipare la pensione e non continuare con le pezze delle quote. Anche perché quelli che useranno la quota 103 quest’anno potrebbero essere davvero pochi e in questo caso per chi paga con il taglio della rivalutazione della sua pensione potrebbe essere oltre il danno la beffa.