analogie e differenze

Schlein vuol copiare Sánchez, ma ha dimenticato la crescita

Norberto Dilmore

Il paragone spagnolo è corretto, ma il rischio che quella via si trasformi in corbynismo esiste ed è sinonimo di sconfitta

L’elezione di Elly Schlein a segretaria del Pd sposta a sinistra l’asse politico di questo partito. La piattaforma programmatica presentata alle primarie ha al centro le questioni della lotta alle diseguaglianze, dei diritti, dell’ambientalismo, del femminismo, dello sviluppo sostenibile (in contrapposizione alla crescita tout court). Anche se è ancora presto per comprendere quale sarà la politica delle alleanze, i primi segnali lasciano intravvedere un avvicinamento ai Cinque stelle e un allontanamento dal Terzo polo. Se tali sviluppi dovessero confermarsi nelle settimane a venire, la strategia del Partito democratico per tornare a governare il paese avrebbe delle consonanze significative con la strategia che l’attuale leader socialista spagnolo Pedro Sánchez adottò nella seconda metà del decennio scorso per riportare al potere il Psoe.

 

Ci sono parallelismi significativi tra Sánchez e Schlein. Entrambi a un certo momento hanno cominciato una traversata nel deserto per prendere (nel caso di Schlein) o riprendere (nel caso di Sánchez) il controllo del partito. Per far questo, entrambi hanno dovuto sconfiggere il leader (Stefano Bonaccini in Italia) o la leader (Susana Diaz in Spagna) dell’ala più riformista del partito, che guarda caso erano anche i governatori delle due regioni faro per i rispettivi partiti (Emilia-Romagna e Andalusia). Per far questo hanno adottato una piattaforma programmatica più di sinistra-centro che di centro-sinistra, con un’enfasi sulle questioni dei diritti e della lotta alle diseguaglianze e alla precarietà.


Si potrebbe dire che esiste un passaggio a nord-ovest, una via al potere “da sinistra” già sperimentata dalla Spagna


Sia Sánchez che Schlein quando sono stati eletti segretari hanno ereditato un partito spaccato a metà,  quasi in caduta libera (il Psoe nel 2016 era  a poco più del 22 per cento mentre nel 2008 si situava sopra il 40 per cento; il Pd dopo le elezioni politiche del settembre 2022 era dato in alcuni sondaggi al di sotto del 15 per cento), insidiati a sinistra da movimenti populisti con programmi simili a quelli della sinistra radicale  (Podemos in Spagna e Movimento 5 stelle in Italia) e a destra da partiti centristi di ispirazione macroniana che speravano di attrarre a sé l’elettorato moderato che votava Psoe o Pd (Ciudadanos in Spagna, Terzo polo in Italia).
Sánchez nel 2016 si dimise da deputato per non dover votare l’astensione al governo minoritario di centro-destra di Rajoy e, manovrando abilmente dopo essere stato rieletto segretario del Psoe, riuscì a far passare una mozione di sfiducia costruttiva verso quest’ultimo, diventando così il nuovo primo ministro di una coalizione tra Psoe e Podemos. Coalizione poi confermata dalle urne nel 2019. Le votazioni produssero una forte ripresa del Psoe (che passò dal 22 per cento al 28 per cento) e un significativo indebolimento di Podemos (dal 21 per cento al 15 per cento). 

 

Sánchez, nella piattaforma programmatica che utilizzò per vincere le primarie nel partito e per poi diventare primo ministro, aveva indicato di voler porre fine al “capitalismo neoliberista” e di essere in favore di una transizione verso “una società post-capitalista”. Aveva inoltre sostenuto la necessità di una rifondazione della socialdemocrazia e si era espresso per un’alleanza di tutte le forze progressiste, con cui si dovevano evitare “scontri frontali”.  Sulla base di quanto sopra si potrebbe concludere che esiste un passaggio a nord-ovest, una via al potere “da sinistra” già sperimentata dalla Spagna e che potrebbe ben adattarsi all’Italia, date anche similarità importanti tra i due paesi mediterranei. L’esperienza del Psoe di Pedro Sánchez potrebbe allora rivelarsi una buona guida, certo da non ripetersi pedissequamente, sul che fare in Italia.


Con Sánchez, Podemos si è  svuotato e frantumato, mentre il centro di Ciudadanos è imploso


Tutto vero, però… Però per traslare con efficacia l’esperienza spagnola in una strategia vincente per l’Italia bisogna anche guardare cosa differenzia i due paesi e trarne le dovute conseguenze. In particolare, tre elementi dovrebbero essere presi in considerazione: (i) la Spagna è un paese che cresce e continua a crescere, (ii) la configurazione politico-istituzionale del paese consente a Psoe e Podemos di governare senza una maggioranza assoluta; e (iii) l’azione concreta del governo Sánchez è molto più riformista e meno radicale della piattaforma programmatica con cui fu eletto segretario del Psoe.

 

Partiamo dalla questione della crescita. Mentre il reddito pro-capite spagnolo è in media più basso di quello italiano, negli ultimi vent’anni le distanze tra i due paesi si sono quali dimezzate. A prezzi costanti, secondo le statistiche del Fondo monetario internazionale, tra il 2000 e il 2022 il reddito pro-capite italiano è cresciuto in totale di 88 euro contro i 3.000 euro della Spagna. Questo significa che in questo secolo, pur tra alti e bassi, la Spagna è cresciuta, l’Italia no. Inoltre, la Spagna ambisce a continuare a crescere. Non a caso la Spagna è davanti all’Italia nella realizzazione degli obiettivi del Pnrr e le previsioni di crescita della Commissione europea indicano che nel 2023 e 2024 la crescita spagnola sarà circa il doppio di quella italiana. 


Anche in una narrativa neo-socialdemocratica, efficienza e produttività devono  giocare un ruolo importante


L’aver bandito il termine crescita dal proprio programma, e aver ristretto il campo delle riforme strutturali a quelle riguardanti la transizione ecologica e digitale, è un limite importante, che rischia di rivelarsi un boomerang per la nuova segretaria del Pd. Per l’Italia la crescita è una questione che non si può aggirare con parafrasi del tipo “sviluppo sostenibile”. La lunga stagnazione è stata un disastro che ha alimentato populismo, etno-nazionalismo e instabilità politica. Se la Spagna avesse stagnato come l’Italia, difficilmente Sánchez sarebbe restato al governo per più di cinque anni, riuscendo così a far passare importanti riforme in campo sociale e dei diritti. Inoltre le sue chance di rielezione si ridurrebbero significativamente se la crescita attesa per quest’anno e l’anno prossimo fosse simile a quella dell’Italia. 

 

Per quel che riguarda la politica delle alleanze, la coalizione con Podemos ha funzionato bene per il Psoe, perché da un lato una parte degli elettori di sinistra e centro-sinistra è tornata con i socialisti spagnoli, mentre, dall’altro lato, non ci sono state fughe importanti di elettori e dirigenti verso il centro. Il risultato è stato che Podemos si è progressivamente svuotato e frantumato, mentre il centro di Ciudadanos è imploso. Il Psoe è riuscito anche a disinnescare la bomba indipendentista in Catalogna e ad assicurarsi l’appoggio esterno dei partiti regionali. Ora, nel caso italiano, il serbatoio di voti regionali non esiste. Non essendoci un tale serbatoio di riserva in Italia, una riduzione dell’astensionismo “popolare” e uno spostamento di voti da destra a sinistra potrebbero non rivelarsi sufficienti per l’ottenimento di una maggioranza. Di conseguenza, in Italia prima o poi una qualche forma di dialogo dovrà essere instaurata con le forze centriste per cercare di coinvolgerle nella coalizione. E questo implica compromessi da entrambi i lati, la capacità da parte del partito a vocazione maggioritaria di scaglionare nel tempo le priorità da perseguire (non a caso, molte misure sociali sono state introdotte verso la fine del mandato al fine di mobilitare il proprio elettorato) e, di conseguenza, la necessità di essere pronti a rinunciare a o dilazionare alcuni punti chiave del programma. 


Aver ristretto il campo delle riforme strutturali a quelle riguardanti la transizione ecologica è un boomerang 


Questo è quello che ha fatto anche il governo Sánchez. Alcune misure sociali importanti furono prese immediatamente dopo la formazione della coalizione Psoe e Podemos tra cui l’innalzamento del salario minimo. E la Spagna ha fatto molto negli ultimi cinque anni in termini di espansione dei diritti sociali e civili, nonché di transizione ecologica (la Spagna è molto meno dipendente dalle energie fossili rispetto all’Italia). Ma tutto questo è avvenuto senza rimettere in questione i grandi equilibri macroeconomici (la Spagna ha un debito pubblico simile a quello francese, ma la sua dinamica del debito è più favorevole di quella del paese transalpino) e continuando a incoraggiare la crescita. Non bisogna poi dimenticare che le recenti misure sul mercato del lavoro per ridurre la precarietà sono dovute anche al fatto, come ricordato da Lorenzo Borga sul Foglio, che fino al 2021 (dunque dopo quattro anni di governo Sánchez) la Spagna aveva il numero più elevato di contratti a termine in Europa (doppio a quello dell’Italia).

 

Le misure prese sono state concordate con l’Unione Europea nell’ambito del Pnrr per porre termine (con successo) a un’anomalia spagnola (e dunque non si è trattato tanto di una misura d’avanguardia, quanto di un’importante azione di aggiustamento e adeguamento). Nel contempo la Spagna ha continuato a portare avanti riforme strutturali volte ad aumentare l’efficienza e la competitività dell’apparato produttivo e rafforzare il sistema finanziario. Vale la pena ricordare qui che nel 2020 Sánchez non esitò a schierarsi con il ministro delle Finanze, Nadia Calvino, quando quest’ultima approvò l’acquisizione di Bankia da parte di CaixaBank, nonostante che il vicepremier di Podemos Iglesias si fosse opposto con vigore a quella che considerava una privatizzazione e dunque un cedimento all’ideologia neoliberista. Giustamente Sánchez aveva considerato che bisogna distinguere l’albero dalla foresta: una misura specifica giustificata dalla logica economica non caratterizza necessariamente la natura dell’azione di governo. Questa dovrebbe essere una lezione importante e utile per la nuova segretaria del Pd, visto che diversi suoi sostenitori confondono sovente l’albero con la foresta. Anche in una narrativa neo-socialdemocratica, per utilizzare la terminologia di Pedro Sánchez, efficienza e produttività, mercato devono continuare a giocare un ruolo importante (come lo giocarono durante il compromesso socialdemocratico delle Trente Glorieuses), pena il fallimento del progetto politico. In conclusione, per il Pd di Elly Schlein è ragionevole ispirarsi alla via spagnola (che la stessa segretaria sembra considerare un modello da seguire). Tuttavia, se vuole che questa via non si trasformi nella via corbyniana (o melenchonista) alla sconfitta, deve fare ben attenzione non solo alle similarità, ma anche alle differenze politiche, economiche, sociali e istituzionali col caso spagnolo, e analizzare attentamente e in profondità le politiche concrete realizzate dal governo Sánchez, che sono molto meno radicali di quanto venga sovente presentato in Italia.

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