Lapresse

I conti giusti per l'apocalisse

Il realismo che manca sulla transizione energetica

Umberto Minopoli

Il culto delle date simboliche per la decarbonizzazione non aiuterà a combattere la crisi climatica: la transizione deve passare per un calcolo realistico e flessibile, non dal panico per la fine del mondo. Il nuovo libro di Vaclav Smil

Oltre quaranta pubblicazioni fanno di Vaclav Smil un’autorità nel campo dello studio delle transizioni energetiche. Nel suo ultimo lavoro, Come funziona davvero il mondo (Einaudi, Torino 2022), l’autore prende di mira il paradigma dominante della decarbonizzazione e della crisi climatica. Non per negarne le premesse scientifiche e metodologiche – il riscaldamento globale e le sue origini carboniche ed antropiche – ma per imputargli un mancato realismo, l’efficacia e l’effettiva fattibilità. L’oggetto polemico di Smil è, sulla base di un ricchissimo corredo di dati, cifre, argomentazioni tecniche, la possibilità realistica della decarbonizzazione globale delle principali economie del mondo entro le date preconizzate: il 2030 e il 2050. Il timore dei cambiamenti climatici ha generato, negli ultimi trent’anni, un paradosso: “un’ondata di catastrofismo”, di “profezie inquietanti” e di ansia per le sorti del pianeta, tutto accompagnato però da “promesse assolutamente irrealistiche” e da un sostanziale “nullismo” realizzativo: le emissioni carboniche globali aumentano sistematicamente. 

 

Alla base del paradosso, è la tesi di Smil, c’è un fraintendimento e un uso distorto del concetto di previsione nell’ambito delle scienze ambientali e delle ipotesi climatiche. Esse hanno perso, scrive Smil, il valore euristico e di criterio orientativo, “per aziende e governi che ne facevano uso” per indirizzare scelte di investimento e politiche pubbliche. Potendo contare sulla ricchezza di nuovi software e su enormi flussi di dati osservativi, le interpretazioni climatiche hanno condotto a una sovrastima della previsione: l’abbondanza quantitativa, osserva Smil – spesso “inversamente proporzionale alla loro qualità” – ha finito per trasformare i modelli digitali computerizzati in predizioni con il marchio della certezza. Finendo per dar vita a una letteratura, in molti casi, di “narrazioni speranzose e fin troppo politicamente corrette”. Smil sostiene l’inattendibilità di un tale uso delle previsioni climatiche. Applicate ai “sistemi complessi” – clima, ambiente, energia, economia – le predizioni perdono la loro validità orientativa: finiscono per trascurare le interazioni tra numerosi fattori e variabili, anzitutto tecnologiche o di policies dei governi, e le previsioni stesse, specie quelle di lungo periodo, vengono vanificate. 

 

Ne abbiamo un esempio concreto oggi. Il libro di Smil precede la crisi dei prezzi dell’energia e la guerra in Ucraina. La sua tesi sulla vacuità di scelte energetiche costruite su previsioni di troppo lungo periodo ha avuto immediata conferma con la corsa, a metà del 2022, agli investimenti sulle infrastrutture del gas, ai contratti di approvvigionamenti di lungo periodo o con la decisa ripresa del ricorso al carbone. È impossibile, insiste Vaclav Smil, pretendere di ingessare la transizione energetica entro previsioni e date temporali troppo arbitrarie e predeterminate, generate da modelli computerizzati. Non si fa altro, in tal modo, che creare incertezza e indeterminatezza degli esiti dei modelli. Non c’è alcuna apocalisse alle porte: “I catastrofisti si sbagliano ripetutamente”. Smil illustra una ricca casistica di previsioni errate nell’ultimo secolo: il peak oil che avrebbe messo fine alla disponibilità di fonti fossili; l’esaurimento delle risorse minerali già nel corso di questo secolo; l’apocalisse demografica e della disponibilità di cibo per una popolazione mondiale che procede verso i 9 miliardi di individui. Le apocalissi mancate sono all’origine delle “fantasie distopiche” che, sin dagli anni Venti, hanno prefigurato, talvolta con picchi di vero “terrorismo psicologico”, il collasso delle economie moderne. L’apocalisse climatica è solo l’ultima, in ordine di tempo. 

 

Smil non è un negazionista del global warming. Tutt’altro. Addirittura, egli imputa a politici ed esperti la sottovalutazione della relazione tra temperature e tassi di CO2 e altri gas serra (metano, vapore acqueo, ozono) la cui scoperta, per la scienza climatica, data “da più di un secolo e mezzo”. La strategia del contrasto ai gas serra si è rivelata inefficace: paralizzata tra la “profezia inquietante” di un’apocalisse ravvicinata e soluzioni irrealistiche all’eccesso di carbone. Abbiamo di esso un “fabbisogno annuale sopra i 10 miliardi di tonnellate” (un volume doppio, ad esempio, “dell’acqua consumata dai quasi 8 miliardi di abitanti del pianeta”). La sostituzione del carbon fossile non sarà più breve del tempo – circa un secolo – da esso impiegato per plasmare la nostra civiltà. Servono tempi lunghi e, soprattutto, soluzioni tecnologiche effettivamente sostitutive del carbone negli usi finali. Laddove sarà possibile. Senza inseguire scorciatoie o soluzioni penalizzanti per i consumi e gli stili di vita delle persone.

 

Da conoscitore profondo dell’energia, Smil fa alcuni esempi illuminanti. È fallimentare il modello tedesco che, dopo aver sostituito il nucleare con le rinnovabili eoliche e solari, si ritrova con un sistema energetico dipendente all’84 per cento dalle energie fossili. È tecnicamente infattibile la sostituzione della propulsione elettrica nei mezzi di trasporto, specie quelli strategici della globalizzazione (navi e aerei): allo stato attuale, per ragioni fisiche di densità energetica, non esistono alternative ai combustibili liquidi e al cherosene. Ma c’è di più. Una certa indulgenza per le filosofie della smaterializzazione ci porta a trascurare il fatto che, sotto la crosta del digitale, il mondo resta ancorato, quasi esclusivamente, alla domanda di quattro “materiali” – ammoniaca, acciaio, cemento, plastica – che “si distinguono tra loro per un’enormità di diverse proprietà e funzioni” e sulla cui disponibilità e produzione si regge il funzionamento delle società moderne. Nel 2019, non un secolo fa, il mondo ha consumato circa 4,5 miliardi di tonnellate di cemento, 1,8 miliardi di tonnellate di acciaio, 370 milioni di tonnellate di plastica e 150 milioni di tonnellate di ammoniaca. Dall’agricoltura, alla chimica, alla farmaceutica, alle costruzioni, alla microelettronica e ogni altro settore della vita civile l’uso di questi quattro materiali è indispensabile, la domanda di essi è crescente e sono tutti ad alta intensità di energia “fossile”: “sostituirli con materiali differenti – scrive Smil – non è affatto facile e, di certo, non in tempi stretti o su scala globale”.

 

Non c’è, dunque, solo il fabbisogno dei minerali legati allo sviluppo delle “economie verdi” – litio, cobalto, nickel, rame, grafite – che crescerà tra le 15 e le oltre 30 volte i consumi attuali. Continuerà, ben oltre le date della decarbonizzazione, la domanda dei quattro materiali essenziali per nutrire le persone, per costruire gli insediamenti umani, per edificare gli impianti delle energie rinnovabili, per produrre mezzi e macchinari (turbine, automobili elettriche, combustibili, batterie) essenziali alla “sostenibilità” economica e ambientale. È un’immensa attività di estrazione, lavorazione e produzione che richiederà un enorme fabbisogno di energia. Che non potrà essere fornita solo da fonti rinnovabili. Almeno non nei tempi di una generazione o due. E “nessuna intelligenza artificiale”, conclude Smil, “applicazione informatica o messaggi elettronici potranno alterare questa verità”.