La sede centrale dell'Inps a Roma, nel quartiere dell'Eur (Wikipedia)

Dopo l'articolo apparso sul Foglio

Botta e risposta con Tridico sull'“innovazione previdente”

"Senza quella chiara strategia di innovazione tecnologica che stiamo adottando per dare nuovi servizi all’utenza non sarebbe possibile gestire tale complessità di servizi". Lettera (con risposta)

Al direttore - L’articolo di Nicola Rossi, apparso sul Foglio di sabato scorso, è una critica infondata a una delle più grandi pubbliche amministrazioni italiane che negli ultimi anni ha fatto grandi passi avanti in termini di efficienza ed efficacia, digitalizzazione, velocità dei tempi di liquidazione, complessità di processi gestiti. Innanzitutto, c’è un errore fattuale. La forza lavoro dell’Inps negli ultimi anni è diminuita, e non aumentata: era circa 34 mila nel 2002 (e non 19 mila come scrive Rossi) e oggi è pari a circa 25 mila; e ciò nonostante i numerosi assorbimenti di altri enti previdenziali, piccoli come Enpals e Inpgi, o grandi come Inpdap (l’ente di previdenza dei pubblici dipendenti) che, con una legge del 2011 approvata dal Parlamento, quando Rossi era senatore della Repubblica, trasferisce nell’Inps circa 9.000 dipendenti. Inoltre, le prestazioni e i servizi che offriva l’Istituto nel lontano 2002 erano qualche decina, mentre oggi sono oltre 400. In secondo luogo, è per volontà dei diversi parlamenti e governi che si sono succeduti negli ultimi 20 anni che l’Inps ha incrementato il numero e la varietà delle prestazioni sociali, oltre all’accorpamento citato di altri enti previdenziali, tanto da trasformare l’Inps in una vera Agenzia nazionale del Welfare, con missioni e obiettivi più ampi della funzione “tradizionale”, pure enorme, di erogare una media di 22 milioni di pensioni ogni mese. Questa trasformazione è stata giustamente ispirata da princìpi di efficienza, economie di scala, e gestione centralizzata di dati per una maggiore integrazione, informatizzazione e interoperabilità dei servizi. Le critiche all’Inps sono assolutamente legittime e direi necessarie, per migliorare i tanti servizi e prestazioni che l’Istituto gestisce per oltre 42 milioni di utenti, senza contare i 16 milioni “aggiuntivi” nel periodo della pandemia. Ma i rilievi devono essere fondati e non condizionati da pregiudizi, da casi singoli ed errori pur sempre possibili, che nella quasi totalità dei casi dipendono dalla interazione con altre istituzioni e amministrazioni, non sempre nelle condizioni di aggiornare nei tempi attesi le loro informazioni e a trasmetterle all’Inps. È il caso ad esempio di alcune pensioni della gestione pubblica, che hanno bisogno di una lavorazione iniziale dell’amministrazione di provenienza che, laddove non esistesse più perché soppressa (come è il caso di tanti enti pubblici scomparsi), può causare un iter faticoso su contributi pubblici riferiti a periodi lontani nel tempo. Negli anni 70-80-90, e fino al cambiamento del sistema previdenziale in senso contributivo nel 1996, era infatti molto frequente che i contributi dei lavoratori pubblici non venissero versati regolarmente o puntualmente all’ente pensionistico. Lo stesso prof. Nicola Rossi, come è noto, docente universitario del Sistema pubblico e parlamentare dal 2001 al 2013, con diversi incarichi pubblici nel tempo, molto probabilmente ha iniziato ad avere una posizione contributiva negli anni 70 e potrebbe facilmente lui stesso ricadere in questa categoria e aver sperimentato tempi più lunghi di liquidazione della pensione ex Inpdap. Simili problematiche non si configurano invece per le pensioni del settore privato, dove l’alimentazione del conto assicurativo è continua (a meno che non ci sia evasione contributiva) e permette tempi di liquidazione molto inferiori rispetto alle gestioni pubbliche. In generale, i tempi di liquidazione delle prestazioni storiche come pensioni e disoccupazione, negli ultimi quattro anni, sono stati abbattuti del 20 per cento, e la maggior parte di esse (oltre il 75 per cento) viene liquidata entro 15 giorni dalla decorrenza, e nei successivi 15 giorni vengono liquidate la quasi totalità delle domande, al netto di aggiornamenti di dati che devono arrivare da altre amministrazioni o aziende. L’interoperabilità delle banche dati, spesso solo invocata nei dibattiti politici e tecnici, è stata pervicacemente perseguita in questi anni dall’Istituto, con risultati riconosciuti sia dalle altre P.a. centrali che nei servizi ai cittadini. Ma i dati da aggiornare non sono solo i “nostri”, devono essere costantemente e tempestivamente forniti anche dalle altre amministrazioni centrali e locali. Questo il senso, piuttosto ovvio del mio richiamo alla sfida sull’aggiornamento continuo dei dati. Le performance attuali e positive dell’Inps sono frutto di un’automazione continua, di innovazione di procedure e di un elevato livello di informatizzazione che vede l’Inps tra le realtà amministrative più avanzate d’Europa in campo informatico e digitale. La frontiera tecnologica che l’istituto ha voluto di recente abbracciare, criticata da Rossi, è quella della proattività, con cui andremo a informare automaticamente l’utente delle prestazioni cui potrebbe avere diritto in base al suo profilo e ai dati disponibili. Ma non perché non abbiamo altro da fare, e nemmeno perché abbiamo risolto tutte le possibili criticità di una macchina complessa e costantemente al servizio di decine di milioni di cittadini, ma perché abbiamo il dovere di informare proattivamente l’utente, soprattutto quello più debole, che spesso non è al corrente di prestazioni cui avrebbe diritto. Stimiamo anche che circa il 20 per cento delle prestazioni, da quelle alla famiglia e alla natalità, dal sostegno al reddito alle prestazioni pensionistiche minori e supplementari, rimangono diritti inespressi. E questo colpisce proprio i più bisognosi, emarginati dai circuiti informativi e dagli intermediari. La letteratura economica è ricca di spiegazioni che affrontano questo problema, che sono sicuro Rossi conosca, e che ritengo un imperativo affrontare. L’Inps è una grande azienda pubblica efficiente che durante la pandemia ha risposto in modo efficace a un bisogno di servizi e aiuti senza precedenti, ad esempio pagando 32 milioni di prestazioni di cassa integrazione. Tutto questo senza che pensioni, disoccupazione, invalidità, contributi aziendali e autonomi, esoneri o altre prestazioni tradizionalmente “core” avessero ripercussioni negative. Il dato di fatto, e non una nostra opinione, è che tutto questo, insieme alle pensioni, è il core business che il paese e il Parlamento hanno affidato all’Inps e che lo rende l’ente di welfare più grande d’Europa. Senza quella chiara strategia di innovazione tecnologica che stiamo adottando per dare nuovi servizi all’utenza, inclusa la proattività, non sarebbe possibile gestire tale complessità di servizi e obiettivi di miglioramento continuo.
Pasquale Tridico
presidente Inps

 


 

Ringrazio il presidente Tridico per la sua cortese replica. Che la forza lavoro dell’Inps nel 2002 fosse pari a 19 mila unità lo deduco dal Rapporto annuale Inps 2002 (pag. 50). Non ho difficoltà a immaginare che il rapporto fosse non del tutto accurato. Che i tempi di erogazione dei trattamenti pensionistici possano andare ben oltre i 15 giorni – e secondo molti Centri di assistenza fiscale toccare anche i 30, 60 o 90 giorni – lo conferma il presidente Tridico nel momento in cui afferma che i 15 giorni si riferiscono al 75 per cento degli utenti. Infine, non avrei voluto citare un caso personale, ma il presidente Tridico mi costringe: la mia istanza di ricongiunzione contributiva cui fa cenno nella sua replica fu avanzata nel 2007. Durante la crisi finanziaria del 2008-2011 era “in lavorazione” così come durante la pandemia del 2020. Ha avuto risposta nel 2022, dopo 15 anni. Non penso si debba aggiungere altro.
Nicola Rossi

 

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