Foto di Fabio Cimaglia, via LaPresse 

l'intervista

Cosa aspettano gli imprenditori a investire per formare i lavoratori del futuro? Parla Montezemolo

Claudio Cerasa

Come dice Bankitalia, il problema del nostro paese non sono i lavori che mancano bensì le figure professionali qualificate che non si trovano. Una lezione dimenticata di Agnelli contro l’industria dell’allarmismo italiano

Luca Cordero di Montezemolo lo dice in un soffio: “Basta pessimismo, per favore”. A cosa si riferisce? “Le faccio un esempio: ha visto cosa dice Bankitalia?”. Cosa dice? “Finalmente un po’ di verità. Un po’ di verità sul lavoro. Un po’ di verità sul grande problema che ha l’Italia e che avrà anche nei prossimi anni”. E cioè? “Ogni giorno scopriamo che l’Italia è più forte di quello che appare, è più resistente di quello che sembra, è più in crescita di come ce la raccontiamo e più si andrà avanti con il tempo più risulterà evidente, caro direttore, che il problema del nostro paese non sono i lavori che mancano ma sono i lavoratori che non si trovano”.

 

Eccolo qui il dato di Bankitalia: “Per attuare i progetti del Pnrr serviranno fino a 375 mila lavoratori in più nell’anno di maggior picco, per la gran parte nel settore privato e non solo nelle costruzioni ma anche in comparti di elevata intensità tecnologica e con un aumento della domanda di figure professionali qualificate”. “Vede – ragiona ancora Montezemolo – dovremmo cominciare, noi tutti, a dire la verità. E a dire che l’Italia reale è molto diversa da quella percepita. A dire che l’Italia che viene descritta come insicura, come depressa, come impotente, come sull’orlo di una crisi di nervi è invece ogni giorno è lì a stupirci, a dimostrare l’opposto. Leggo spesso le cronache sui giornali, sono un divoratore di giornali, e quello che in questa fase mi affascina non è capire cosa non funziona dell’Italia ma è capire perché l’Italia che funziona non viene raccontata, viene trascurata, viene sistematicamente trasformata in una non notizia. Pensi al numero incredibile di imprenditori che crescono e che innovano. Pensi al numero incredibile di giovani che fondano start-up e che poi le quotano. Pensi a tutto questo. E poi pensi al perché tutto questo mondo rimane spesso confinato in un boxino a pagina trenta”.

 

Perché? “La ragione, purtroppo, mi sembra evidente. L’Italia ha creato un’industria dell’allarmismo. L’industria dell’allarmismo ha bisogno di prosperare. E per far prosperare l’industria dell’allarmismo raccontare l’Italia percepita è è più importante che raccontare l’Italia reale”. Nell’Italia reale, dice Montezemolo, che è un’Italia che ha trasformato gli anni della crisi, pandemia prima e guerra dopo, in occasioni per crescere, per rafforzarsi, per diventare se non più resilienti certamente più efficienti, in quell’Italia vi sono ancora due velocità importanti, e differenti, e quelle velocità coincidono con due profili e due storie diverse.

 

“In questi ultimi anni le aziende che hanno avuto a che fare poco con il pubblico hanno fatto passi in avanti da gigante, e non sono andate mai così bene, guardate la moda, guardate la farmaceutica, guardate l’agroalimentare, guardate tutte quelle famiglie che hanno scelto di trasformare il mercato non in una fonte di paura ma in una fonte di opportunità. E tutte le aziende che hanno imparato a correre, e che sono quelle che aiutano l’Italia a correre, lamentano ancora due problemi. Non mille problemi, due problemi. Non c’entra la guerra e non c’entra l’inflazione, perché gli imprenditori con la testa sulle spalle sanno che la difesa della libertà può avere un costo. C’entrano quattro temi che sono le vere sfide con cui si ritroverà a fare i conti questo governo: burocrazia da snellire, lavoratori da trovare, concorrenza da alimentare, salari da aumentare”. 

 

Sul primo punto, dice Montezemolo, i problemi sono noti, purtroppo, e avere una giustizia più veloce, una burocrazia più efficiente, un sistema di regolamentazione che non trasformi l’immobilismo nell’unica forma di legalità consentita è un vasto programma che questo governo potrebbe tentare almeno in parte di risolvere utilizzando la leva del Pnrr per rendere l’Italia più forte, più snella e più veloce. Sugli altri due punti, l’ex presidente della Ferrari ha due idee interessanti. “Si parla spesso di formazione, in Italia, di come formare i lavoratori del futuro, di come colmare la differenza tra domanda e offerta, di come intervenire sul famoso mismatching, tra la richiesta di lavoratori e i lavoratori disponibili. Sento spesso molte chiacchiere su questo tema ma penso che gli imprenditori piuttosto che limitarsi a chiedere alla politica di fare di più avrebbero la seria opportunità di prendere loro l’iniziativa e di fare qualcosa. Qualcosa di concreto”. Per esempio? “Penso che Confindustria dovrebbe farsi promotore oltre che di una grande politica volta ad aumentare i salari, tema che riguarda sia il governo, per le tasse, sia gli imprenditori, che avrebbero il dovere di pagare di più alcuni lavori, di una grande iniziativa. Ovvero: far nascere un grande centro di formazione.

 

Dedicato, prima di tutto, a tutti coloro che arrivano in Italia. Ai migranti, sì”. In che senso? “Nel senso che le imprese italiane, le più grandi, dovrebbero fare rapidamente un censimento delle figure professionali che mancano, e una volta individuati i profili dei lavoratori che servirebbero e che non si trovano dovrebbero dar vita a una grande scuola di formazione, una scuola dei mestieri, limitandosi a chiedere a ogni loro impresa di stanziare lo 0,1 per cento del loro utile. Integrare, formare, lavorare, crescere. Cambiare il Reddito di cittadinanza, per invogliare chi potrebbe lavorare a lavorare, è importante, ma non basta. L’Italia è un paese in cui i posti di lavoro saranno sempre di più e le imprese per far crescere l’Italia hanno bisogno di trovare con rapidità i lavoratori di cui hanno bisogno. E formarli anche tra i migranti potrebbe diventare un’opportunità straordinaria”.

 

E la concorrenza? “La politica che non parla di concorrenza è una politica che ha perso di vista quella che dovrebbe essere una sua missione: far crescere l’Italia, creare più posti di lavoro, offrire ai cittadini più servizi, offrire servizi più efficienti e offrirli a prezzi concorrenziali. Non so se il governo Meloni, che sta facendo meglio rispetto a quanto molti avevano immaginato e che sta dimostrando di essere diverso rispetto all’immagine macchiettistica che l’opposizione gli aveva disegnato attorno, riuscirà a intestarsi questa battaglia, onestamente lo spero ma mi sembra difficile, ma so con certezza che chi si vuole occupare del futuro dei cittadini oggi piuttosto che occuparsi di come andare a caccia di farfalle dovrebbe trovare un modo per mostrare in modo concreto perché liberare l’Italia dai lacci e lacciuoli che frenano la nostra concorrenza è l’unico modo, concreto, veloce per rafforzare il paese, migliorare i servizi e creare benessere”.

 

Montezemolo fa una pausa e ritorna al tema da cui la conversazione era partita. Ottimismo, lotta al catastrofismo, battaglia contro gli allarmisti in servizio permanente effettivo. “Fossi in Meloni, prenderei alcune grandi eccellenze del paese, giovani, startup, imprenditori, e farei come fanno alcuni grandi presidenti internazionali: aprire con loro un confronto periodico, per raccogliere idee, per essere meno autoreferenziali, per mettere insieme spunti, capire di cosa ha bisogno l’Italia”. Pausa. “Ricordo che una delle cose che diceva spesso l’avvocato Gianni Agnelli, una delle lezioni misteriosamente non ricordate in questi giorni, nel ventennale della sua morte, è che gli italiani dovrebbero imparare a essere ambasciatori del loro paese. Manca questo all’Italia oggi. Manca la capacità di fare squadra, di valorizzare le eccellenze, di avere una consapevolezza di ciò che è il nostro paese, delle sue potenzialità, dei suoi punti di forza, della sua eccellenza, almeno pari a quella che ha dell’Italia chi non ci vive. Non significa essere miopi di fronte ai problemi del nostro paese. Significa fare un ragionamento diverso. Significa saper trasformare i problemi in opportunità. Significa sostituire alla logica della protesta la politica della proposta. Significa fare quel che si può per combattere l’industria della chiacchiera e dell’allarmismo con la forza dei fatti e con la potenza delle idee. Il momento è giusto, qualcosa si può fare. E il futuro dell’Italia dei prossimi anni, se ci pensate bene, passa anche da qui”.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.