Balle indifferenziate
Il rifiuto dei termovalorizzatori produce più rifiuti in discarica
Sono il centro della campagna elettorale in Lazio e Lombardia: Conte li odia, il Pd li teme, la destra balbetta. Ma l'Ispra certifica le virtù dei termovalorizzatori: maggiore raccolta differenziata, più energia e meno discariche
Il termovalorizzatore è ciò che divide gli schieramenti e anima la campagna elettorale delle regionali. Nel Lazio Pd e M5s, che hanno governato insieme, sono divisi sul tema: i dem, alleati con il Terzo polo, lo vogliono; il M5s assolutamente no. Il centrodestra non si sa: prima dice no, poi dice sì ma non lì. In Lombardia un punto fondamentale dell’alleanza tra Pd e M5s è proprio la chiusura dei termovalorizzatori: “Il Pd lombardo ha scelto con noi di spegnere gli inceneritori”, dice Giuseppe Conte. Carlo Calenda attacca il Pd e il candidato Pierfrancesco Majorino risponde: “Non tutti, solo quelli obsoleti”.
Chi si oppone ai termovalorizzatori sostiene che disincentivino la raccolta differenziata e il riciclo dei rifiuti, che è ciò su cui bisogna puntare. Ma è davvero così? La tesi di chi non vuole nuovi impianti è che la loro costruzione crei una sorta di dipendenza: siccome serviranno decenni per ripagare l’investimento allora sarà necessario conferire continuamente rifiuti da incenerire, disincentivando così l’incremento della raccolta differenziata che invece è l’obiettivo primario.
Per avere un’idea più chiara è utile leggere i dati del “Rapporto rifiuti urbani 2022” pubblicato dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra), ente di ricerca del ministero dell’Ambiente. La risposta sintetica dell’Ispra è che: “Il ricorso all’incenerimento non costituisce un disincentivo all’aumento della raccolta differenziata che comunque negli anni ha continuato ad aumentare”. Le considerazioni dell’Istituto si basano sull’analisi dei dati dell’ultimo decennio.
Nel 2021 in Italia erano attivi 37 impianti di incenerimento, in riduzione dai 48 del 2013, una riduzione che ha interessato soprattutto il centro Italia con la chiusura di 7 impianti. Ma il calo del numero di termovalorizzatori non ha ridotto la quantità di rifiuti inceneriti, che è invece rimasta stabile nell’ultimo decennio: in una fascia tra 5,2 e 5,6 milioni di tonnellate, ovvero tra il 17 e il 19% (nel 2021 il 18,3%) della produzione totale di rifiuti, che è sempre attorno a 30 milioni di tonnellate. A fronte di una produzione complessiva e di una quota di incenerimento costanti, la raccolta differenziata è notevolmente aumentata passando dal 37% del 2011 al 64% del 2021. Ciò che invece diminuisce, al crescere della raccolta differenziata, è lo smaltimento in discarica che è passato da oltre il 40% nel 2011 a meno del 20% nel 2021.
Quindi senza termovalorizzatori non aumenterebbe la differenziata, ma il conferimento in discarica. La controprova si trova nei dati sulla distribuzione territoriale, che mostrano come le regioni dove si concentrano i termovalorizzatori (Lombardia ed Emilia-Romagna) sono quelle con una quota di differenziata superiore alla media (oltre il 70%); mentre al centro e al sud dove gli impianti scarseggiano la differenziata è sotto la media. Emblematico è il caso della Sicilia, che non ha termovalorizzatori ed è la regione che più di tutte, e di gran lunga, smaltisce i rifiuti in discarica. Come non è un caso che Campania e Lazio, che hanno un solo termovalorizzatore a testa, siano le due regioni leader per l’export di rifiuti: insieme inviano all’estero 372 mila tonnellate, il 56% del totale nazionale.
A questi va aggiunto un altro dato: i termovalorizzatori nel 2021 hanno prodotto 4,5 milioni di MWh di energia elettrica e 2,3 milioni di MWh di energia termica, in costante aumento nell’ultimo decennio. Insomma, il senso del rapporto dell’Ispra è che costruire termovalorizzatori dove ce n’è bisogno, come in Lazio e centro-sud, non vuol dire “meno differenziata” ma “meno discariche e più energia”.
Difficoltà e soluzioni