Dispiace per Montanari, ma è vero: le rinnovabili non sono occasione di palingenesi sociale
Forse inconsapevolmente, il rettore dell'Università per stranieri di Siena coglie un aspetto fondamentale: chi guarda al cambiamento climato come a un problema pratico da risolvere dovrebbe evitare tasse e regole ai danni degli strumenti che possono aiutarci
Tomaso Montanari non lo sa ma, sulle rinnovabili, ha ragione. Il rettore dell’Università per stranieri di Siena ha distillato ieri sul Fatto Quotidiano un articolo la cui tesi di fondo è: sbagliano gli ambientalisti a promuovere le tecnologie verdi. Così facendo, essi si asserviscono alla “attuale vulgata industrialista” perché non colgono la portata rivoluzionaria (in senso marxiano) della lotta contro i cambiamenti climatici. Montanari – e con lui una parte del movimento ecologista – svela così il suo obiettivo: non rendere sostenibile il nostro stile di vita, ma approfittare della crisi climatica per fare finalmente i conti col sistema capitalistico. Spiega Montanari: “Siamo come un tossico che pur di continuare a bucarsi (cioè a non diminuire il consumo, rinunciando al dogma della crescita) vende, perdendoli per sempre, i gioielli di famiglia (il paesaggio italiano, bene non rinnovabile se devastato oltre un certo limite – limite, come è noto, largamente oltrepassato in molte sue parti)”. Quindi, quello che per lui è “il pensiero in teoria più avanzato” (l’ecologismo) dovrebbe smetterla di “giustificare, anzi esaltare, la svendita di questi gioielli” e passare nella trincea di chi ritiene che bisogna “cambiare radicalmente vita, cioè smettere di ‘farci’ di crescita”.
Il ragionamento di Montanari ignora tre aspetti di merito. In primo luogo, nessuno pensa che per l’installazione di pale eoliche e pannelli fotovoltaici non si debbano tenere in debito conto anche gli impatti sul paesaggio. E’ proprio per questo che esistono delle procedure autorizzative. Semmai, l’entropia normativa e amministrativa genera un sistema infernale in cui il no a prescindere è l’unico equilibrio di lungo termine. E questo problema non riguarda le sole rinnovabili. L’altro punto è banale: per quanto le rinnovabili possano apparire invasive, a fine vita esse possono essere smantellate con relativa facilità, ripristinando (se necessario) l’ambiente preesistente. Infine, l’alternativa è quella di accettare passivamente gli effetti del riscaldamento globale che potrebbero essere molto più gravi di quelli di pale e pannelli.
Ciò nonostante, Montanari forse inconsapevolmente coglie un aspetto fondamentale. L’intero sforzo europeo (e globale) verso la neutralità carbonica è finalizzato a mitigare la nostra impronta ecologica, facendo salva la capacità di innovare e prosperare. Si parla, non a caso, di crescita sostenibile, dove il sostantivo è almeno altrettanto importante che l’aggettivo. D’altronde, se si procede per target incrementali è perché si accetta il principio per cui tagli delle emissioni ancora più aggressivi, pur teoricamente possibili, avrebbero un costo sociale inaccettabile. Nulla e nessuno ci vieta di imporre l’azzeramento delle emissioni da lunedì prossimo: purché si sia consapevoli che ciò significa rinunciare ai comfort della vita moderna e, per molti, alla stessa sopravvivenza.
Quindi può essere vero che il fantasma del neoliberismo si aggira tra i progetti di nuove installazioni rinnovabili. Ed è ancora più vero adesso che, grazie al progresso tecnologico, queste diventano sempre più competitive. Tanto che le classi politiche europee (e italiane) sembrano applicare alla lettera, pur rovesciandola, la battuta di Ronald Reagan: finché le rinnovabili non si muovono, sussidiale; quando cominciano a muoversi, tassale; se continuano a muoversi, regolamentale. Chi guarda al cambio climatico come a un problema concreto da risolvere, e non a un’occasione di palingenesi sociale, dovrebbe evitare tasse e regole ai danni degli strumenti che possono trarci d’impaccio. Per tutto il resto c’è Montanari.
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