(foto Ansa)

l'intervista

Benaglia (Cisl) spiega a Meloni perché Ilva è a rischio Alitalia

Annarita Digiorgio

"Lo stato deve riequilibrare i rapporti, ma la presenza di un privato con competenze e risorse è fondamentale". Parla il segretario della Fim Cisl

Quando il 12 agosto 2012 il Gip di Taranto ordinò lo spegnimento degli impianti Ilva senza facoltà d’uso, e il governo mandò l’allora ministro Clini a Taranto per rilasciare una nuova autorizzazione ambientale che consentisse all’impianto di funzionare, Adolfo Urso, oggi ministro dello Sviluppo, scrisse un tweet: “Bene Clini ma Passera dov’è? Non è solo questione di ambiente, è soprattutto politica industriale”. Da allora Urso è rimasto uno dei pochi politici a seguire la crisi Ilva, mai risolta, difendendo l’acciaio italiano a ciclo integrale. Quando ArcelorMittal decise di sciogliere il contratto dopo l’ennesima ordinanza della magistratura in seguito alla rimozione dello scudo, Urso twittò: “L’ambiguità del governo e la irresponsabilità dei 5 Stelle hanno pregiudicato l’interesse nazionale, il destino dell’Ilva è ora ostaggio dei pirati indiani”. Chi l’avrebbe mai detto che sarebbe diventato ministro dello Sviluppo proprio nel momento in cui tutti vogliono mandar via questi “indiani”.

 

Sei mesi fa, Acciaierie d’Italia ha presentato all'ex ministro Orlando una richiesta per la cassa integrazione di 3.000 lavoratori su un piano produttivo per l'anno in corso di 5,7 milioni di tonnellate prodotte. Ma oggi non arriva a 3 milioni, e quindi ha messo fuori altri 2 mila lavoratori dell’indotto. Fiom e Uilm chiedono la nazionalizzazione, e il governatore Emiliano e il sindaco di Taranto che non vedono l’ora di mettere i loro giannizzeri nel cda e chiudere tutto. Non la pensa così Roberto Benaglia, segretario della Fim Cisl: “Lo stato deve riequilibrare i rapporti, ma la presenza di un privato con competenze e risorse è fondamentale. Non vorrei che Acciaierie d’Italia diventasse un’Alitalia 2: se lo stato per prendere il controllo di ilva vuole pilotare un fallimento di acciaierie d’Italia per creare una nuova new company senza Arcelormittal sarebbe un’ecatombe. Lo stato oggi non ha competenze siderurgiche: serve per rendere bancabile il nome Acciaierie d’Italia, che essendo una società in affitto e con gli impianti sotto sequestro non offre garanzie al credito”. Ed è proprio la crisi di liquidità che si porta dietro quella industriale. “Con la produzione attuale chiudiamo al minimo storico, meno della pandemia. Siamo alla metà di un programma presentato 6 mesi fa: così l’azienda non guadagna, non reinveste e si ferma”.

Ma il sindaco di Taranto chiede la chiusura dell’area a caldo? “Un’Ilva senza altoforni non può esistere. Bisogna riaccendere Afo5. Il miliardo già deliberato deve servire a rimettere in marcia gli impianti e riassorbire i lavoratori dalla cassa integrazione”. E allora un’Ilva più piccola? “Non va. C’è molta industria trasformatrice preoccupata per la ricaduta produttiva. E poi perdemmo sovranità industriale e mi pare sia un tema importante anche in termini di etichetta per questo governo, rischiamo di rendere più dipendente l’industria metalmeccanica italiana”. Eppure da quando è arrivato ArcelorMittal ha messo un miliardo per le prescrizioni imposte dal ministero dell’ambiente che a maggio saranno tutte realizzate. Lo ha ricordato anche il presidente di Federacciai Antonio Gozzi: “Taranto, dal punto di vista degli investimenti ambientali fatti, è uno dei primi impianti del mondo. Oggi esistono le condizioni per un piano industriale di rilancio, ma bisogna decidere chi lo fa”. Non è che si chiede la nazionalizzazione per mantenere i lavoratori senza produrre? “La soluzione non possono essere ammortizzatori cronici io di aziende in perdita con lavoratori con stipendi alti ne conosco poche. Noi non siamo né quelli della cassa integrazione né quelli quelli del salario minimo a 9 euro l’ora, perché nel metalmeccanico si può lavorare e guadagnare molto di più”.

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