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la versione del governatore della Banca d'Italia

La lezione di Visco: attenti al panico da inflazione e al debito

Stefano Cingolani

L’ultimo trimestre rispetto allo stesso periodo del 2021 ha visto aumentare del 49,23 per cento il fatturato delle società quotate in borsa, mentre l’utile netto è addirittura raddoppiato. Può continuare il Draghi boom? Sì, ma a due condizioni

Il Draghi boom ce lo ricorderemo a lungo. La sua intensità si rispecchia nei bilanci delle imprese ancor più che nei dati macroeconomici (crescita del 3,8 per cento quest’anno e del 6,7 nel 2021, con stime riviste sempre al rialzo). L’ultimo trimestre rispetto allo stesso periodo del 2021 ha visto aumentare del 49,23 per cento il fatturato delle società quotate in borsa, mentre l’utile netto è addirittura raddoppiato (+105,93 per cento). E stiamo parlando di mesi nei quali Vladimir Putin ha invaso l’Ucraina, l’inflazione ha superato le due cifre percentuali, il prezzo del gas è esploso e la Russia ha girato la chiavetta dei metanodotti.

 

Certo, il balzo dei prezzi colpisce i salari, riduce la domanda e alla lunga anche i profitti, ma la spinta propulsiva non è ancora spenta. E’ possibile non sprecare questo patrimonio? Sì, a due condizioni, ha detto ieri Ignazio Visco: la prima è che la politica monetaria non stringa troppo i freni (quindi la Bce deve procedere con cautela nel rialzo dei tassi e nel quantitative tightening, cioè la ricollocazione dell’enorme quantità di titoli acquistati nel decennio Draghi), la seconda che il governo italiano non torni ad aumentare il debito.

  

Il balzo di utili e dividendi non riguarda solo l’Italia, è la spuma dell’onda lunga post pandemia che ha spiazzato anche i più autorevoli analisti. C’è stata si può dire una doppia svista, prima sulla ripresa, poi sull’inflazione, e ha contagiato anche le banche centrali. Un dato aggregato per il terzo trimestre dell’anno calcola che sono stati distribuiti agli azionisti ben 416 miliardi di dollari, su base annua arriveranno a 1.560 miliardi (stima del Global Dividend Index elaborato dalla società Janus Henderson), circa il doppio rispetto a dieci anni prima, quando è cominciata l’uscita dalla grande crisi finanziaria. E poi c’è chi parla di declino del capitalismo. Anche Piazza Affari ha spiegato le vele al vento dell’occidente. Tuttavia se si guarda da vicino la Borsa italiana non si può non restare sorpresi dalla forza delle imprese. I calcoli pubblicati da Milano Finanza sulle trimestrali industriali Euronext mostrano risultati clamorosi. Leonardo (la ex Finmeccanica, il gruppo della difesa guidato da Alessandro Profumo) ha fatto registrare un 190 per cento in più; Pirelli (controllata dalla ChemChina) 51 per cento; Ferragamo, che sembrava in difficoltà, 83,7 per cento; Brunello Cucinelli e Moncler 70 per cento; Prysmia (leader dei cavi) 69 per cento; Tenaris dei Rocca (tubi per metanodotti) 139 per cento; ST Microelectronics (la joint venture italo-francese dei semiconduttori) 116 per cento; Poste italiane 21 per cento; Inwit (infrastrutture elettroniche Tim fuse con quelle Vodafone) 45 per cento. Anche il comparto automobilistico, sul quale sono state versate calde e abbondanti lacrime, se l’è cavata bene: Brembo +39 per cento, Piaggio +37, Stellantis +29, Ferari +16 per cento. Ci sono eccezioni importanti, come Tim che ristagna e aumenta i debiti. L’editoria annaspa (-8,7 per cento) tranne la Mondadori (+18). Poi c’è tutto il comparto energetico. Qui si manifesta una contraddizione palese tra fatturato in crescita e profitti in discesa. E’ l’effetto dell’inflazione o meglio del rincaro del gas, del petrolio, dell’elettricità. I prezzi più alti hanno accresciuto il fatturato (in media è pressoché raddoppiato), ma non hanno riscontro nei margini di guadagno. Un bel problema per chi vuole finanziare i bonus per le famiglie con profitti che non sono extra, anzi finiscono per tradursi in perdite. L’Enel ha gonfiato i ricavi dell’84 per cento, ma gli utili sono in calo e crescono i debiti. L’elenco di aziende private o statali è lungo: Erg, Hera, Snam, Terna. Si salvano Eni, A2A, Italgas e Acea per il rotto della cuffia.

 

Oggi le prospettive di crescita si stanno deteriorando in tutta l’area euro, ha detto Visco. “Va quindi trovato il giusto equilibrio tra il rischio che l’inflazione resti elevata troppo a lungo e quello che il peggioramento della situazione economica finisca per ricondurre la crescita dei prezzi nel medio periodo al di sotto dei valori coerenti con l’obiettivo”. La “lezione Ugo La Malfa” introdotta da Giorgio La Malfa, ieri nell’aula dei gruppi parlamentari, è sembrata una edizione di mezzo termine delle tradizionali considerazioni finali all’assemblea della Banca d’Italia, con un messaggio indiretto (ma non troppo) mentre si sta preparando la legge di Bilancio 2023.

 

“Lo straordinario incremento dell’inflazione è stato in gran parte imprevisto”, ha sottolineato il governatore, un’autocritica che riguarda anche l’Italia: nel settembre 2021 si stimava un +1,6 per cento invece l’inflazione è stata del 4 per cento. Attenti adesso a non compiere gli stessi errori in senso contrario. Ciò vale in primo luogo per le banche centrali. Quella americana è intervenuta prima e in modo “eccezionalmente forte”. Ha fatto bene a gettare acqua fredda su una economia surriscaldata. I prezzi dell’energia hanno inciso solo per un quinto sull’aumento dell’inflazione. In Europa le cose sono diverse, il costo di gas e petrolio incide per il 40 per cento, salari e occupazione sono cresciuti molto meno. La Bce si è mossa tardi e adesso rischia di fare troppo e troppo in fretta? Secondo Visco è “utile tenere conto di queste osservazioni, tuttavia la strada intrapresa è quella necessaria”. I prezzi al consumo salgono in media dell’8 per cento quest’anno, saranno al 6 l’anno prossimo e si avvicineranno al 2 solo nel 2024. Ma bisogna tener conto che “la politica monetaria esercita i suoi effetti  con ampi ritardi”. Attenti, insomma, al panico da inflazione. E’ la linea che la Banca d’Italia sostiene nel consiglio della Bce contro la posizione di altre banche centrali, anche se lo stesso presidente della Bundesbank, Joachim Nagel, si sta convincendo che occorre muoversi con i piedi di piombo (la stagnazione colpisce anche la Germania). La posizione italiana può essere credibile se il governo resiste alla tentazione di aumentare il debito facendo pagare alle prossime generazioni “la tassa che grava sull’economia”. L’inflazione crea un effetto contabile riducendo il rapporto del debito sul pil calcolato in termini nominali, e ciò può spingere il governo a indebitarsi ancora. Le prossime scelte di politica economica diranno se vincerà l’illusione monetaria o il sostegno all’economia reale.

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