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L'intervento

Ragioni per cui un'inflazione a doppia cifra impone un rialzo ai tassi di interesse

Carlo Cottarelli

Tassi del 2 per cento sembrano troppo alti solo a chi riteneva che ormai “the new normal” fossero tassi negativi o quasi. Evidentemente non è così, soprattutto quando l’inflazione viaggia a due cifre. Fare come la Fed

Fa bene la Bce ad aumentare i tassi di interesse? Molti pensano di no: mentre, la Banca centrale americana, la Fed, fa bene ad aumentarli perché negli Stati Uniti l’inflazione è causata da un eccesso di domanda, la Bce non dovrebbe farlo perché in Europa l’inflazione è dovuta all’aumento dei prezzi delle importazioni su cui la politica monetaria della Bce non ha effetto. Io penso che le differenze tra i due casi esistono, ma che non sono così marcate come altri pensano e che la Bce non possa non aumentare i tassi di interesse. Ci sono diverse ragioni per cui un aumento dei tassi di interesse è inevitabile.

 

Primo, quando l’inflazione raggiunge questi livelli (quasi il 12 per cento a ottobre), se i tassi non salgono rispetto ai valori vicino a zero registrati negli ultimi anni i rendimenti reali delle attività finanziarie a tasso fisso diventano largamente negativi e non conviene più risparmiare. Se tieni depositi in banca (o investi in titoli di stato) a tassi troppo bassi ti esponi alla più grande patrimoniale che l’Italia abbia mai visto perché l’inflazione erode il potere d’acquisto dei tuoi risparmi. Conviene spendere il che acuisce il problema dell’inflazione. In altri termini, se anche l’inflazione ha origine esterna, non la si può ignorare perché, a tassi immutati, genera un eccesso di domanda. Qualcuno dirà che questo assume che le aspettative di inflazione guardino al passato piuttosto che al futuro. Credo che, quando l’inflazione salga ai livelli attuali, questo sia inevitabile. C’è qualcuno che pensa che l’inflazione nei prossimi 12 mesi sarà dell’1 per cento?

 

Secondo, siamo sicuri che l’inflazione abbia solo un’origine esterna? Anche al netto dei prodotti energetici e degli alimentari, l’inflazione è comunque salita in una forchetta del 4-5 per cento, cosa che non vedevamo da anni. Inoltre il mercato del lavoro è abbastanza teso. La disoccupazione è scesa, in Italia e in Europa, a livelli inferiori a quelli medi degli ultimi decenni. Si potrà obiettare che le retribuzioni non stanno salendo molto, al contrario di quanto avviene negli Stati Uniti. Ma il motivo è che il mercato del lavoro è più flessibile negli Stati Uniti che in Europa, dove molti contratti triennali sono stati rinegoziati l’anno scorso. In Italia il possibile eccesso di domanda di lavoro rispetto all’offerta non genera quindi un forte aumento salariale, ma si traduce nella difficoltà che le imprese stanno incontrando nel trovare lavoratori.

 

Terzo, se la Fed alza i tassi di interesse e la Bce li tiene fermi l’euro si svaluta il che acuisce il problema dell’inflazione. Questo è quello che è accaduto negli ultimi mesi. Una differenza nel livello dei tassi di interesse (che negli Stati Uniti sono un paio di punti più alti di quelli europei) è giustificabile dalla maggiore componente da domanda negli Usa rispetto all’Europa, ma senza un aumento dei tassi di interesse l’euro continuerebbe a svalutarsi.

 

Occorre infine notare che, se anche l’inflazione fosse interamente importata, le banche centrali dei singoli paesi non potrebbero ignorarla del tutto. Il mondo è un’economia chiusa (il prezzo delle materie prime non è fissato su Marte) e politiche monetarie troppo espansive da parte delle banche centrali nel loro complesso causano un eccesso di domanda rispetto all’offerta a livello mondiale che si manifesta in prima battuta in un aumento del prezzo delle materie prime, prezzo che è determinato dall’incrocio di domanda e offerta in mercati organizzati. In linea di principio, questo comporta che tutte le banche centrali devono contribuire alla moderazione della domanda a livello mondiale.

 

In conclusione, la Bce non può non aumentare i tassi di interesse e lo sta facendo a una velocità che già tiene adeguatamente conto delle differenze tra Stati Uniti ed Europa nel ruolo rispettivo di fattori di domanda e fattori di offerta. Tassi del 2 per cento sembrano troppo alti solo a chi riteneva che ormai “the new normal” fossero tassi negativi o quasi. Evidentemente non è così, soprattutto quando l’inflazione viaggia a due cifre.
 

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