Foto di Michele Tantussi, via LaPresse 

un piano da imitare

Il metodo tedesco sul caro gas: una commissione e idee concrete

Fernando D'Aniello

La risposta alla coalizione politica tedesca che continua a litigare è quella di creare un team di economisti, sindacalisti, imprenditori (oltre a tre esponenti politici) che definiscano degli strumenti operativi in merito alla questione energetica. Ne vien fuori una base per una discussione pubblica

Berlino. Che fare quando il prezzo del gas aumenta e per cittadini e imprese i costi diventano insostenibili? La discussione sulle soluzioni da adottare può diventare subito ideologica – calmierare i prezzi o lasciare fare il mercato, intervenendo solo nei casi più gravi? – e rischia così di impantanarsi e di lasciare in mezzo al guado chi se la passa peggio, contribuendo ad aumentare la sfiducia verso le istituzioni democratiche. Sì, la democrazia: se il prezzo del gas aumenta (e di tanto!) il problema è anche di tenuta del sistema democratico. Lo hanno capito in Germania dove il governo ha provato a reperire le risorse – i 200 miliardi che hanno fatto arrabbiare mezza Europa – ma poi si è chiesto come utilizzarle. Trovati i soldi, bisogna stabilire come investirli, bene e rapidamente, due cose che non vanno sempre d’accordo. Che si fa?

 

Rispondere politicamente, in una coalizione litigiosa e divisa su tutto, avrebbe creato problemi enormi. E poi c’è il fatto che tecnicamente la vicenda è complicata: una cosa sono i contratti per le forniture ai privati, altra cosa quelli per le aziende. Un contributo a pioggia aiuta anche chi non se la passa male. Soprattutto resta il problema principale: bisogna risparmiare gas. A Berlino provano a sbrogliare la matassa con una commissione. Un modo, di solito, per far decantare i problemi e magari rinviarne la soluzione. In realtà, la commissione potrebbe aver fatto un buon lavoro.

 

Certo, i prossimi mesi saranno durissimi, anche in Germania. I costi aumenteranno e non c’è nessun meccanismo che possa evitare un contraccolpo duro per famiglie e imprese. Ma almeno lo si può attutire, intervenendo sui costi finali. E generare una discussione pubblica sana. Il successo è probabilmente dovuto al tempo (pochissimo) che la commissione ha avuto: dal 23 settembre, giorno in cui è stata nominata, un primo rapporto preliminare è stato presentato il 10 ottobre, quello definitivo il 31. Insomma, la discussione non poteva essere condotta con troppa calma perché occorreva elaborare proposte concrete da implementare quasi immediatamente: si prevede che i tedeschi riceveranno il primo contributo, per far fronte alla bolletta dell’ultimo mese dell’anno, pochi giorni prima di Natale.

 

Un’occhiata alla lista dei membri della commissione potrebbe rivelarsi interessante. Oltre a tre politici in rappresentanza dei tre partiti della coalizione di governo – socialdemocratici, verdi e liberali –  ci sono tre alla presidenza (una economista, un sindacalista del comparto energetico e il presidente dell’associazione industriali) e diciotto membri tra economisti, sindacalisti, imprenditori e organizzazioni del sociale. Per avere un’idea delle differenze, anche di impianto teorico, basta dare un’occhiata ad alcuni profili, ad esempio quello della professoressa Isabella Weber e del professor Lion Hirth. È un bene per tutti: occorre evitare che gli economisti, ad esempio, polemizzino come i politici, contribuendo così a confondere i cittadini. Se le differenze ci sono e non vanno nascoste, è bene anche provare a limarle quando si tratta di definire strumenti operativi.

 

Si discute se questo della commissione non sia un modo per deresponsabilizzare i politici ed evitare ogni ulteriore discussione. Un approccio “realista” richiede, invece, di polarizzare ancor più la discussione, perché vengano alla luce del sole contrasti e proposte alternative. È un’impostazione che non convince. In un suo intervento di settembre, Jürgen Habermas ha spiegato come un dibattitto sano, pubblico e costruttivo sia una condizione essenziale delle democrazie contemporanee. La commissione responsabilizza tutti i suoi membri, impone un dibattitto interno sobrio e obiettivo, vincolato al pragmatismo. Ne viene fuori un compromesso che poi va tradotto da parlamento e governo, ma rappresenta anche una base per una discussione pubblica più razionale. E che richiede una responsabilizzazione di tutti: i sindacati e gli imprenditori, il riconoscimento del lavoro delle organizzazioni del sociale e la disponibilità al confronto dei tecnici. Con la politica che fissa delle indispensabili coordinate.

 

Sarebbe possibile in Italia fare lo stesso, ad esempio, non solo sull’energia ma anche su questioni come la cittadinanza o il salario minimo? Forse no: per storia e cultura siamo troppo legati allo scontro, più che a definire compromessi istituzionali efficaci. E mancherebbe anche quello che ha garantito il successo tedesco: la spinta a trovare un accordo data dal tempo. Ma forse varrebbe la pena provare.

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