Il 16-06-2022, Draghi, Macron e Scholz in treno per Kyiv (LaPresse) 

La crisi tra Parigi e Berlino è grave, senza Draghi lo sarà di più

David Carretta

Dall’inizio della guerra in Ucraina, la relazione franco-tedesca non funziona più. Se si blocca il motore franco-tedesco, rischia di bloccarsi tutta l’Ue. E la partenza dell'ex banchiere europeo aggrava il pericolo di paralisi

Bruxelles. Francia e Germania hanno cancellato il consiglio dei ministri congiunto in programma il 26 ottobre a Fontainebleau. Questo organismo, creato nel 2003 in occasione del quarantennale del trattato dell’Eliseo, riunisce una o due volte l’anno il presidente francese e il cancelliere tedesco, nonché i rispettivi governi, per discutere della cooperazione nei settori strategici. E’ il simbolo dell’asse franco-tedesco, motore dell’Europa. Il primo incontro fisico dall’inizio della pandemia è stato rinviato a gennaio del 2023. La ragione – spiegano a Berlino e Parigi – sono i troppi “disaccordi” su questioni come la risposta alla crisi dell’energia e il rafforzamento della difesa europea: a Fontainebleau non sarebbe stato possibile sottoscrivere una dichiarazione congiunta sulla cooperazione bilaterale e sulle politiche dell’Ue. La crisi dei prezzi dell’energia sarà al centro del Consiglio europeo che si apre oggi a Bruxelles. Emmanuel Macron e Olaf Scholz sono su sponde opposte: il presidente francese è nel campo del price cap e del disaccoppiamento del gas dall’elettricità; il cancelliere tedesco è nel gruppo che si oppone a ogni forma di tetto ai prezzi per timore di dover razionare il gas a causa dell’aumento della domanda. Francia e Germania sono divise anche sulla solidarietà finanziaria necessaria a preservare il mercato interno e la competitività delle imprese europei. Se si blocca il motore franco-tedesco, rischia di bloccarsi tutta l’Ue. E la partenza di Mario Draghi aggrava il pericolo di paralisi.

  

Dall’inizio della guerra in Ucraina, la relazione franco-tedesca non funziona più. In parte è dovuto a ragioni personali. Tra Macron e Scholz non c’è la stessa chimica che c’era tra Macron e Angela Merkel. In parte è dovuto alla nuova configurazione politica a Berlino. La coalizione semaforo tra socialdemocratici, Verdi e Liberali è più complicata della grande coalizione della Cdu-Csu con la Spd, perché i tre partiti hanno visioni conflittuali su temi come la transizione verde, il nucleare e il debito comune europeo. In parte è dovuto alla guerra della Russia contro l’Ucraina, che ha spostato il centro di gravità politico dell’Ue verso est. Parigi e Berlino hanno sottovalutato la minaccia Putin, hanno voluto continuare a dialogare con il Cremlino e sono stati più reticenti a sostenere Kyiv. La Polonia, i Baltici e i paesi nordici hanno acquisito peso e dettato l’agenda all’Ue sulle sanzioni contro la Russia, le forniture di armi a Kyiv, l’accoglienza dei rifugiati ucraini, la concessione dello status di candidato all’Ucraina o lo stop ai visti per i turisti russi. In parte pesano anche i conflitti bilaterali. Uno dei contenziosi è il gasdotto MidCat, che dovrebbe collegare la Spagna alla Germania attraverso la Francia. Macron rifiuta di dare il via libera al progetto, malgrado l’insistenza di Scholz, perché vuole promuovere il nucleare. Un altro contenzioso riguarda la difesa europea. Berlino mette il bastone tra le ruote di Parigi su molti progetti industriali militari, perché non vuole sganciarsi dall’ombrello di sicurezza degli Stati Uniti.

 

Lo stallo franco-tedesco sta compromettendo la capacità di risposta dell’Ue alla crisi del prezzo dell’energia. “In molti settori della politica industriale non c’è coincidenza tra le posizioni dei due paesi, per esempio per il diverso mix energetico”, spiega al Foglio un diplomatico europeo. Quando non c’è un’intesa preliminare tra Parigi e Berlino, Ursula von der Leyen si muove solo se ha il via libera della Germania. Così si spiega il ritardo su un price cap dinamico sul gas o l’ostilità alla proposta di Paolo Gentiloni e Thierry Breton di lanciare uno strumento di debito comune stile Sure. Le difficoltà elettorali del ministro delle Finanze, il liberale Christian Lindner, incidono “molto” sulle esitazioni del governo Scholz nell’Ue, dice il diplomatico. Il Consiglio europeo di oggi rischia così di concludersi con un’intesa solo su mezze misure. Nell’Ue conta più il peso dei numeri. “La maggioranza oggi è formata da un solo paese, la Germania. Due se si aggiungono i Paesi Bassi”, ironizza un funzionario: “L’opposizione sono 17 paesi” (tra cui Italia e Francia). L’uscita di Draghi dalla scena europea aggraverà il problema. Il presidente del Consiglio, con i membri del suo governo, ha saputo creare coalizioni (come il gruppo dei 15 sul price cap) e fare pressioni sulla Commissione per muoversi, anche se con ritardo. “Senza Draghi, con il motore franco-tedesco in panne, lo stallo totale è più probabile”, dice il funzionario.