La rottura dei tabù

La Difesa europea passa per la convergenza del fronte Roma-Berlino

Valerio Valentini

Il coordinamento delle industrie militari italiane e tedesche è il primo passo per un'intesa comunitaria. Su caccia ed elicotteri la Germania s’avvicina all’Italia

Intanto, c’è la rottura di un tabù. E non era scontato. Perché vedere l’Aula compatta, maggioranza e opposizione coi grillini in prima linea, votare un ordine del giorno che “impegna il governo ad avviare l’incremento delle spese per la Difesa verso il traguardo del 2 per cento del pil”, è un fatto che dà il senso di una svolta avvenuta. E necessaria, come diceva da tempo quel Lorenzo Guerini per il quale era irrealistico pensare di voler fare la voce grossa, come europei, nella Nato, se ci si ostinava a ignorare una delle raccomandazioni che l’America rinnovavano a ogni riunione dell’Alleanza. Poi la Germania ha indicato la via: 100 miliardi, e l’impressione che se perfino Berlino superava le sue remore storiche, le isterie da antimilitarismo non erano più giustificabili altrove. “Anche perché se i tedeschi si muovono, vuol dire che a breve lo faranno anche i francesi. Possiamo davvero restare indietro, noi che pure tanto ci affanniamo per chiedere la Difesa europea?”, ha spiegato Luigi Di Maio ai suoi parlamentari, col tono di chi prova a smuovere le ultime resistenze. Del resto, che il nodo finanziario sia centrale, in questa congiuntura europea, lo ripete anche Enzo Amendola. “Perché la Difesa comune, prima ancora che un piano militare, deve essere un piano industriale”, dice il responsabile dei rapporti con Bruxelles a Palazzo Chigi. E in questo senso, c’è effettivamente una convergenza nuova: un asse tra Roma e Berlino che pare anticipare gli sviluppi che verranno. 


Un asse su due fronti, per ora, ed entrambi aerei. Il primo riguarda infatti i cacciabombardieri. Il governo Scholz ha deciso di avviare subito la sostituzione dei suoi vecchi Tornado aderendo al programma degli F-35. Il che, vista dall’Italia, è una buona notizia non solo perché significa più commesse per il centro di Cameri, in Piemonte, dove gli aerei della Lockheed Martin vengono assemblati, ma anche perché presuppone un avvicinamento tedesco al sistema d’arma che dell’F-35 è il successore designato, e cioè quel Tempest  su cui Italia e Inghilterra lavorano da tempo e che invece la Francia voleva surclassare puntando tutto sull’Fcas. La tedesca Airbus Defence era stata coinvolta, così come la Indra spagnola, per sviluppare un aereo di sesta generazione alternativo al Tempest. La strambata tedesca, dovuta anche a divergenze coi francesi di Dassault ansiosi di esercitare il ruolo di capicordata, pone ora Parigi davanti all’obbligo di scegliere se avallare l’idea della fusione tra i due velivoli o proseguire su un sentiero ormai secondario in perfetta solitudine, o quasi.


Scelta analoga i francesi sembrano destinati a doverla fare a breve anche sul dossier degli elicotteri d’attacco. I contatti sempre più assidui tra Berlino e il quartiere generale della Agusta Westland, mediati anche dai nostri ministeri di Difesa e Sviluppo economico, testimoniano di una volontà abbastanza chiara da parte dei tedeschi: quella, cioè, di abbandonare lo sviluppo dell’Eurocopter Tiger, di matrice transalpina, preferendogli l’AW249 della Leonardo. Che del resto, su questo fronte si è mossa per tempo. Sia acquistando il 25 per cento di Hensoldt, azienda tedesca all’avanguardia sull’elettronica militare, sia propiziando una vendita ancora da definire, ma auspicata anche dal governo italiano, di Oto Melara ai franco-tedeschi di Knds. Del resto, stanziando quei 100 miliardi per colmare il suo gap bellico, Berlino si è accreditata come il più florido mercato europeo dei prossimi anni. E anche da lì passa la creazione di un’industria coordinata, a livello comunitario, come presupposto per una Difesa unica.
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.