Foto di Tino Romano, via Ansa 

possibilità di salvezza

Conti in ordine per difendersi dalla speculazione sul debito

Giampaolo Conte

Alcuni hedge fund avrebbero preso in prestito, senza acquistare, alcuni titoli italiani per circa 40 miliardi di euro, ma la prospettiva di questa strategia finanziaria non è per forza un pericolo

Alla vigilia delle elezioni politiche del 25 settembre, sono iniziate a suonare le sirene di un possibile attacco speculativo nei confronti del debito pubblico italiano. Secondo la stampa anglosassone, alcuni hedge fund hanno preso a prestito – ma non acquistato – titoli italiani per il valore di circa 40 miliardi di euro. Sembra che questi fondi siano pronti a speculare e a guadagnare da un possibile ribasso dei titoli italiani: si tratta di una pistola puntata al cuore delle finanze italiane. Per mettere in sicurezza quest’arma da fuoco c’è bisogno di una sicura, che in gergo popolare si chiama attenta gestione del debito e ordine finanziario.

 

Senza dare adito a rigurgiti nazional-populisti, il fatto che alcuni fondi vogliano speculare sui titoli italiani fa parte delle caratteristiche di una società di mercato. Che ci piaccia o meno, l’internazionalizzazione del debito pubblico italiano a partire dagli anni Ottanta ha esposto il nostro paese al giudizio dei mercati. Tale scelta, tuttavia, ha portato grandi benefici in termini di possibilità di finanziamento e accesso al credito internazionale nonché di riduzione dei tassi d’interesse. Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca. Avere un debito pubblico nelle mani dirette dei nostri concittadini ci metterebbe sì al riparo dalla speculazione internazionale – come ad esempio in Giappone – ma creerebbe seri problemi alla struttura del finanziamento pubblico. Inoltre, i tassi d’interesse corrisposti potrebbero essere assai più alti mettendo sotto pressione lo stato e dunque noi contribuenti, specialmente coloro che non sono in possesso di titoli.

 

Per non mettere le etichette alle bottiglie vuote, prima dello scoppio della pandemia il debito pubblico italiano era detenuto direttamente solo per il 5 per cento dalle famiglie italiane sotto forma di Bot e Btp. Il restante era nella mani di intermediari, come banche e assicurazioni, che gestivano questi fondi per conto di privati cittadini sempre italiani. Le banche e i fondi vari amministravano dunque una quota vicina al 115 per cento di debito in rapporto al pil. Tale percentuale doveva essere periodicamente rifinanziata e dunque doveva sottostare al giudizio del mercato, che si esprime attraverso lo spread. I fondi di investimento che avevano come beneficiari cittadini o enti non italiani avevano una quota riconducibile al solo 22 per cento del totale. Inoltre, se è vero che la Banca d’Italia deteneva e detiene una quota importante di Btp, essa era vincolata dal programma di acquisto titoli dalla Bce noto come quantitative easing. Ovviamente la banca europea acquista titoli di debito ma vuole granitiche garanzie.

 

Alla luce di questo, la quota di debito che può essere realmente commercializzata, ovvero essere acquistata e venduta specialmente sul mercato secondario, è quella nelle mani dei vari fondi d’investimento, sia italiani sia stranieri. Si tratta di una quota consistente che oscilla intorno a un terzo dell’intero debito pubblico. Questo vuol dire che se il mercato sente odore di bruciato sulle prospettive di solvibilità del debito può ricorrere alla consistente quota detenuta non solo per azioni speculative, ma anche ordinarie. Per quale motivo un fondo dovrebbe conservare dei titoli che rischiano di essere svalutati?

 

Per quanto il debito pubblico è già per la maggiore nelle mani di italiani, la sua gestione da parte di intermediari comporta una valutazione costante da parte del mercato, e non della politica, sulla salute delle finanze italiane e sulle capacità oggettive del paese di ripagare il debito.

 

La prospettiva di un attacco speculativo non è un pericolo se l’Italia innesta la sicura di un’attenta e parsimoniosa gestione del debito alla pistola della speculazione sotto lo sguardo vigile, è bene ricordarlo, della Bce. Certo, con le prospettive di un ulteriore rialzo dei tassi da parte della stessa Bce e della Fed il compito dell’Italia si fa più arduo anche se, è bene ricordarlo, l’inflazione può dare una mano a ridurre il valore reale del debito.

 

Tuttavia il prossimo governo deve ricordare i due mantra di una buona politica economica: investimenti – anche e soprattutto in capitale umano – e conti in ordine. Non è la solita nenia, è l’unica possibilità di salvezza per l’Italia anche contro le ruggenti manovre speculative.

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