Olaf Scholz, Cancelliere federale della Germania 

Tra crisi e transizione, la questione energetica in Germania 

Simona Benedettini e Carlo Stagnaro

La crisi energetica ha costretto a fare i conti con la realtà e a dettare tempi diversi per la transizione energetica in Germania, come in altri paesi. Ha costretto quasi tutti a rendersi conto che tra oggi e il 2030 (e più ancora il 2050) c’è un “nel mentre” che non si può ignorare

La Germania ridurrà dal 19 al 7 per cento l’imposta sul valore aggiunto applicata ai consumi di gas naturale di imprese e famiglie. La decisione segue l’introduzione di un prelievo straordinario sulle bollette di tutti i clienti finali a sostegno degli importatori di gas alle prese con prezzi di acquisto senza precedenti. Il prelievo è stato fissato pari a 2,4 cent/kWh e troverà applicazione da ottobre sino a tutto marzo 2023, generando un aumento stimato della spesa energetica di famiglie e imprese di oltre 400 euro all’anno. Nei giorni scorsi la Germania aveva chiesto alla Commissione europea l’esenzione Iva per il contributo straordinario ricevendo però parere negativo. 

 
Sembra lontano il tempo in cui il Ministro per le Politiche economiche e ambientali Robert Habeck annunciava l’obiettivo al 2030 dell’80 per cento di produzione elettrica da sole e vento e la completa decarbonizzazione del parco di generazione elettrica al 2035. Ciò assicurando l’uscita dal nucleare nel 2022 e dal carbone entro il 2030. In realtà, era solo febbraio scorso. Nel 2020, in pieno Covid, la Germania ha destinato 38 miliardi di incentivi a solare, eolico e biomasse. Il tutto nel tentativo di raggiungere in tempi rapidi la decarbonizzazione del comparto elettrico e ridurre i prezzi. Ma la crisi energetica ha riportato il governo tedesco con i piedi per terra. Dopo aver definito chiusa la questioneper mesi, Berlino ora sta valutando se  prolungare l’operatività delle sue centrali nucleari che, nel 2021, hanno coperto circa il 13 per cento del fabbisogno elettrico. Analoga decisione è stata presa in Belgio dove il governo ha esteso di dieci anni l’operatività di due centrali nucleari la cui chiusura era prevista nel 2025. Non solo. Come Francia, Italia, Austria e Paesi Bassi, anche la Germania, che ha attivato il livello due (su tre) di allarme, ha riattivato le centrali a carbone nel tentativo di ridurre la domanda di gas ai fini di generazione elettrica. Allo stesso tempo, i tedeschi hanno dato il via, anche tramite semplificazioni amministrative, alla realizzazione di cinque rigassificatori galleggianti che dovranno accogliere il Gnl proveniente da Qatar e Canada con cui il governo ha avviato da tempo negoziati nel tentativo di rendersi sempre più indipendente dal gas russo. 


Questo non significa ovviamente una marcia indietro tour court sugli obiettivi di decarbonizzazione. Diversamente, come in altri paesi europei che oggi stanno necessariamente rivedendo le proprie politiche energetiche, si è compreso che quanto più ambiziosi sono i sogni quanto più bruschi sono i risvegli. O, più semplicemente, le azioni messe in campo dalla Germania dicono quello che la comunicazione politica sulla transizione energetica non dice: ossia che del gas non si può fare a meno, soprattutto nel mentre che si cerca di perseguire ambiziosi target sulle rinnovabili per tempistiche e volumi. In assenza di sistemi di accumulo che permettano di stoccare l’elettricità prodotta da fonti rinnovabili non programmabili, le centrali a gas sono essenziali per coprire il fabbisogno quando sole e vento non bastano. Inoltre, il gas continuerà a essere una fonte essenziale per l’industria tedesca di cui oggi rappresenta circa il 31 per cento dei consumi energetici. Sostituirlo in questi utilizzi non solo è impossibile in alcuni settori ma richiede anche investimenti i cui costi sono oggi difficili da sostenere data l’incertezza che pesa sull’andamento dell’economia tedesca ed europea. La crisi energetica ha costretto a fare i conti con la realtà e a dettare tempi diversi per la transizione energetica in Germania, come in altri paesi. Insomma, ha costretto quasi tutti a rendersi conto che tra oggi e il 2030 (e più ancora il 2050) c’è un “nel mentre” che non si può ignorare.

 

Di più su questi argomenti: