Foto di Ansa 

non è come sembra

Perché l'inflazione non c'entra né con la guerra né con le sanzioni

Giampaolo Galli

Dal luglio del 2021 molti governi, tra cui il nostro, hanno cominciato a preoccuparsi dell’aumento della bolletta elettrica e dei carburanti. Ma le cause del rialzo dei prezzi non sono scontate

Le previsioni macroeconomiche della Commissione, rese note il 14 luglio, si aprono con la seguente frase: “La guerra di aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina continua a ripercuotersi negativamente sull’economia dell’Ue, avviandola su un percorso di crescita più bassa e inflazione più elevata rispetto a quanto indicato nelle previsioni di primavera”.  Come si vede, i nessi fra la guerra, o meglio il nostro coinvolgimento nella guerra via sanzioni e invio di armi, e l’inflazione con conseguente erosione del potere d’acquisto e rallentamento della crescita sono dati per scontati; come se fosse ovvio che se il 24 febbraio Putin non avesse invaso l’Ucraina oppure se i paesi della Nato non avessero reagito, oggi non avremmo l’inflazione, con tutte le sue nefaste conseguenze.

 

Ma non è così. Come più volte segnalato dall’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica, l’inflazione aveva alzato la testa fin dalla seconda metà del 2021, quando nessuno immaginava che sarebbe scoppiata la guerra. Dal 24 febbraio, i prezzi di molte materie prime sono diminuiti e quelli che sono aumentati, essenzialmente i prezzi delle materie prime energetiche, sono aumentati meno che nel periodo pre bellico. 
I prezzi dei metalli ad esempio sono tutti molto sotto i livelli del 23 febbraio, il giorno prima dell’invasione russa. Valutate in dollari, le riduzioni sono molto rilevanti: -28 per cento per l’alluminio, -23 per cento per il ferro, -26 per cento per il rame, -16 per cento  per il piombo, -41 per cento per lo stagno, -11 per cento per il nickel. Di che si lamentano dunque gli imprenditori dei settori meccanici e metallurgici? La risposta è che tutte queste materie prime erano aumentate moltissimo prima della guerra. Se si fa il confronto fra il livello del 23 febbraio e quello del gennaio 2020 (ossia prima che i prezzi collassassero per effetto della pandemia) gli aumenti sono stati rispettivamente del 155 per cento (quindi un più che raddoppio), del 101 per cento per cento, del 117 per cento, del 46 per cento, del 347 per cento e del 94 per cento. Ce n’è d’avanzo per mettere in serie difficoltà interi settori industriali.   

 

Un discorso analogo vale per le principali materie prime agricole. Dal 23 febbraio a oggi il prezzo del legname è sceso del 49 per cento (dunque si è dimezzato), quello del cotone del 17 per cento, il frumento del 5 per cento. Anche in questo caso gli aumenti ante guerra sono stati da capogiro: +215 per cento (dunque più che triplicato) per il legname, +75 per cento per il cotone, +64 per cento per il frumento. Il ragionamento è solo un po’ diverso per le materie prime energetiche. Il petrolio (Brent) si è mantenuto in questi mesi un po’ sopra i livelli del 23 febbraio, ma ora è sceso ed tornato circa su quel livello. Il problema è che era salito del 41 per cento prima della guerra (da 66 a 97 dollari). Il gas è stato in questi mesi la principale fonte di preoccupazione per l’Europa, anche in relazione alla minaccia di un taglio delle forniture da parte della Russia; eppure anche in questo caso l’aumento pre bellico è stato di gran lunga maggiore di quello successivo. Ancora all’inizio del 2020 il prezzo era di 12 euro/MWh. Il 23 febbraio era già salito a 88 (un aumento di oltre 7 volte!). Dall’inizio della guerra si sono viste oscillazioni paurose e adesso il prezzo è schizzato sino 176. Tuttavia in media, nel periodo dal 24 febbraio a oggi, il prezzo è stato di 109, con un aumento dunque del 24 per cento, che a confronto con gli aumenti precedenti appare moderato.

 

Che il problema non nasca con la guerra è peraltro dimostrato dal fatto che sin dal luglio del 2021 molti governi, tra cui il nostro, hanno cominciato a preoccuparsi dell’aumento della bolletta elettrica e dei carburanti e hanno assunto  provvedimenti per sostenere imprese e famiglie. Il prezzo dell’energia nell’indice (europeo armonizzato) dei prezzi al consumo è salito del 23 per cento fra il gennaio 2020 (dunque ante pandemia) e il gennaio 2022 (dunque ante guerra). Fra gennaio e giugno (dato stimato di fonte Bce) di quest’anno, l’ulteriore incremento è stato “solo” del 17 per cento. Di conseguenza, l’indice complessivo dei prezzi al consumo europeo (armonizzato e destagionalizzato) è aumentato del 5 per cento nei 12 mesi che terminavano a gennaio 2022 e di un altro 4,2 per cento da gennaio a giugno. Si può sostenere che senza la guerra gli aumenti sarebbero stati temporanei o comunque più moderati? Forse, ma, alla luce dei dati che abbiamo mostrato, l’ipotesi è debole e non è facile costruire un controfattuale convincente. La cosa certa è che la guerra è una facile via d’uscita per molti, Bce inclusa, che avevano previsto che l’inflazione fosse un fatto transitorio. Non è stato così e, con tutta evidenza, la spinta inflazionistica è precedente alla guerra e ha altre cause.

Di più su questi argomenti: