Ansa

La corsa dell'energia

Il labirinto del gas. Quanta verità e quanta speculazione nel meccanismo infernale dei prezzi?

Stefano Cingolani

Le attese e le conseguenze della guerra, le scelte di Putin e quelle di Gazprom, le angosce. Lo squilibrio di un mercato nevrotico pronto a diventare isterico: il difficile viaggio nel futuro che ci aspetta

Il generale inverno s’avvicina e, mentre boccheggiamo per il caldo, c’è chi pensa al gelo che ci attende. Secondo gli analisti norvegesi di Rystad Energy entro la fine di ottobre gli impianti di stoccaggio europei saranno pieni per due terzi, non per quattro quinti come programmato. Ma se non ripartirà il flusso dal Nord Stream si raggiungerà a mala pena il 60 per cento, perché i metanodotti dalla Norvegia, dall’Algeria e dall’Azerbaijan stanno pompando al massimo, mentre sia il gioco dei prezzi che favorisce l’Asia, sia incidenti tecnici come quello all’impianto di liquefazione in Texas, riducono l’arrivo di gas americano. E se Vladimir Putin decidesse di chiudere i rubinetti anche a costo di perdere miliardi di euro? E’ una prospettiva da brividi non solo atmosferici, ma politici. I prezzi rispecchiano tutto questo: lo squilibrio sul mercato, le attese, le conseguenze della guerra, le angosce. Entriamo così nel labirinto della paura.

 

La corsa del gas non parte con l’invasione dell’Ucraina. Certo, l’attacco russo ha trasformato una battaglia economica in uno scontro militare, dunque è senza dubbio un’aggravante. Ma il metano è rincarato in modo significativo alla borsa di Amsterdam a partire da un anno fa, quando la forte domanda dei paesi che stavano uscendo dalla pandemia non ha trovato un’offerta adeguata. La Polonia ha accusato la Russia di aver progettato la crisi in anticipo, riducendo le consegne in Europa e in effetti le compravendite sono rimaste a livelli insolitamente bassi, in particolare quelle con Gazprom. Tuttavia non basta a spiegare aumenti di prezzo pari a quattro volte già a gennaio 2022. I grafici mostrano una curva discendente per circa un mese, una breve pausa prima dell’impennata dopo il fatidico 24 febbraio.

 

 E se Vladimir Putin decidesse di chiudere i rubinetti anche a costo di perdere miliardi di euro? I prezzi rispecchiano le attese e le angosce


Da allora è tutto un su e giù. Tra marzo e maggio vediamo una consistente discesa poi una risalita a giugno. Le quotazioni oscillano oggi attorno a 176 euro per megawattora, ai primi di marzo sono arrivate a 220, un mese fa sotto quota 90, nonostante i feroci combattimenti in Ucraina, a luglio 2021 erano appena a 40 euro. Siamo in presenza di una guerra, ma anche di speculazioni e profitti di guerra? I produttori e le grandi compagnie hanno sottovalutato la ripresa, mentre governi e imprese che avevano svuotato i serbatoi non li avevano riempiti in tempo. Insomma, un “fallimento di mercato” come lo chiamerebbero gli economisti keynesiani? 

 

In Italia l’andamento dei prezzi al consumo è definito dall’Arera, l’autorità per l’energia, in base al metro cubo standard, cioè calcolato in condizioni fisse e stabili, perché il volume del gas varia a seconda della temperatura e della pressione. E qui entriamo in un dedalo tecnico. Alla materia prima s’aggiungono le imposte: l’accisa sulla quantità di energia consumata; l’addizionale regionale (fatta eccezione per le regioni a statuto speciale e la Lombardia); l’iva (10 per cento su consumi inferiori a 480 metri cubi, poi scatta il 22 per cento). Ci sono poi i costi di trasporto e gli oneri di sistema che rappresentano circa il 4 per cento, come gli interventi per il risparmio energetico e le fonti rinnovabili, o le spese per la commercializzazione del gas al dettaglio. Viene applicato inoltre un coefficiente per tenere conto delle differenze geografiche e temporali, quindi varia su base regionale. Ebbene nel primo trimestre 2021 eravamo in media a 0,197 euro per metro cubo standard, nel terzo e quarto trimestre sale già a 0,285 per arrivare a 0,879 con il nuovo anno, restando sostanzialmente a questo livello (0,859) fino a giugno. Il governo ha sterilizzato gli aumenti. Nei prossimi tre mesi per le famiglie tutelate la bolletta del gas rimarrà stabile. In assenza di interventi, sarebbe aumentata del 45 per cento. Anche se l’Arera ha azzerato gli oneri generali di sistema, il colpo resta durissimo. Nei dodici mesi compresi tra il primo ottobre 2021 e il 30 settembre prossimo si prevede una spesa media per la famiglia tipo di circa 1.696 euro per il gas, con una variazione del +70,7 per cento rispetto ai 12 mesi equivalenti dell’anno precedente. Il metano viene utilizzato anche per produrre elettricità a differenza dalla Francia che impiega soprattutto l’energia nucleare. Dunque la luce segue lo stesso andamento del gas. Si calcola che di qui al luglio 2023 possa aumentare di circa 1.071 euro, cioè il 91 per cento in più in un anno. 

 

 L’isteria dei prezzi potrà essere calmata mettendo un tetto? E’ la linea dell’Italia con il sostegno cauto della Francia, della Spagna e del Portogallo 

 

I costi crescono, ma la domanda non si riduce. I dati dei primi cinque mesi ci dicono che l’Italia sta consumando più o meno come l’anno scorso, con un leggero calo dell’1,7 per cento, nonostante prezzi raddoppiati alle famiglie e quintuplicati alle imprese. Una spiegazione è che si sta cercando di riempire i centri stoccaggio prima che la Russia tagli ancora l’offerta. Da lunedì viene chiuso il gasdotto tedesco Nord Stream 1. Ci sono solo problemi tecnici? Il blocco sarà temporaneo? Forse, intanto i guasti rischiano di essere permanenti. E qui entriamo in un altro labirinto, quello di un mercato nevrotico pronto a diventare isterico. Uno degli argomenti più diffusi e di sicuro impatto, usato da chi ci ha legato mani e piedi al gas di Putin è che grazie al contratto trentennale con Gazprom avremmo avuto forniture garantite a prezzi stabili non sottoposti alle variazioni spot. Stato contro mercato, stabilità contro incertezza, prezzo equo contro speculazione. Secondo uno studio dell’Oxford Institute for Energy, invece, i flussi di gas dalla Russia verso l’Europa occidentale sono sempre stati più erratici in quantità rispetto a quelli provenienti dalla Norvegia, il secondo fornitore, dal Nord Africa o dall’Azerbaijan. E l’incertezza è aumentata dopo la pandemia.

 

Sul mercato spot le negoziazioni avvengono alla Title Transfer Facility e sono collegate ai contratti di importazione. I prezzi sono agganciati ai derivati del petrolio sostituti del gas naturale, ma talvolta divergono: oggi il greggio è in ribasso mentre il metano vola. Ttf è l’acronimo che indica il mercato all’ingrosso dei Paesi Bassi, tra i più grandi e liquidi d’Europa, anche in virtù della localizzazione che permette il trasferimento del gas naturale tra Norvegia, Regno Unito, Germania, Francia e Italia. E gli importatori decidono se aumentare o ridurre i quantitativi di gas russo ritirati anche in base al prezzo che lì si forma. I contratti di importazione sono caratterizzati dalle clausole “Take or Pay”, secondo cui l’acquirente è tenuto a corrispondere comunque, interamente o parzialmente, il prezzo contrattuale di una quantità minima di gas definita dal contratto, anche nell’eventualità che non ritiri il gas. Al di sopra di quella soglia, però, ha una significativa flessibilità nel regolare i volumi richiesti. Alcuni dei contratti che gli importatori europei hanno stipulato con Gazprom applicano una formula legata all’indice mensile, conosciuto come “Front Month” (prezzo del mese successivo), usato per stabilire il prezzo del gas con un mese di anticipo rispetto alla consegna. A gennaio di quest’anno, quando l’indice aveva un valore superiore al prezzo spot, vi era un disincentivo al ritiro di volumi con contratto di lungo periodo e un incentivo agli acquisti sul mercato spot. La dinamica si è invertita con lo scoppio della guerra in Ucraina, che ha mandato alle stelle il più reattivo prezzo spot, rendendo conveniente ritirare il gas russo con contatti di lungo periodo. Anche per questo le importazioni sono cresciute del 50 per cento subito dopo l’invasione.

 

L’isteria dei prezzi potrà essere calmata mettendo un tetto alla loro crescita? E’ la linea sostenuta dall’Italia con il sostegno cauto della Francia, della Spagna e del Portogallo. Un price cap generalizzato è praticamente impossibile e un prezzo politico sarebbe un boomerang. Negli Usa il presidente Biden ha aperto uno spiraglio contro l’intera industria energetica, in Europa si oppongono i produttori a cominciare da Norvegia e Olanda, per non parlare dell’Algeria. Il prezzo nei mercati spot rimarrà comunque il punto di riferimento e dipenderà sempre più dalla valutazione del gas liquefatto. Un limite imposto solo al metano importato dalla Russia è un atto di guerra economica per mettere in ginocchio Mosca, al quale seguirebbe una ritorsione: taglio in occidente e prezzi scontati in oriente per trovare altri sbocchi. Il risultato concreto, dunque, sarebbe incerto. Si cercano altre scorciatoie, la Francia vuol nazionalizzare il colosso elettrico Edf dove lo stato ha già l’84 per cento (in Italia possiede la Edison), il governo tedesco salva l’azienda del gas Uniper (costo 9 miliardi di euro). Ricorrere a compensazioni per le famiglie a basso reddito e le industrie energivore come in Italia significa aumentare il deficit pubblico. Intanto dalla Gran Bretagna alla Libia il caro energia scatena scioperi e gilet gialli. 

 

La ricetta più efficace resta sempre ampliare l’offerta e diversificare al massimo i fornitori. E’ possibile, grandi passi avanti sono stati fatti in pochi mesi, ma è comunque difficile, l’impatto è lento e il tempo stringe. Nel 2019, la Russia forniva all’Europa (Gran Bretagna compresa) 16 miliardi di metri cubi. Con la pandemia sono scesi a 12 miliardi a causa del calo generalizzato dei consumi. A giugno di quest’anno sono crollati a 4,86 miliardi. Al primo posto è salito il gas liquefatto con circa 12 miliardi soprattutto da Usa e Qatar. Al secondo posto la Norvegia collegata via metanodotto con il resto d’Europa (uno sciopero per aumentare i salari ha creato improvvisi intoppi, è il prezzo della democrazia liberale), seguono Nord Africa (Algeria in particolare) e Azerbaijan (via Tap).

 

Il braccio di ferro con l’Ucraina va avanti dal 2005. A pochi mesi dalla “rivoluzione arancione” e dall’entrata in carica a Kyiv della coppia Jušcenko-Tymošenko, Mosca ha avanzato le prime richieste di pagamento del debito accumulato dalla compagnia nazionale ucraina Naftogaz, accusandola contemporaneamente di prelevare illegalmente il gas destinato all’esportazione verso i paesi europei. Un secondo contenzioso nell’ottobre 2007 attorno ai debiti ucraini nei confronti delle compagnie energetiche russe, e a marzo 2008 Gazprom ha tagliato di nuovo le forniture. Con l’entrata in carica del nuovo presidente filorusso Janukovyc, le controversie energetiche si sono temporaneamente appianate, fino al 2014 con il conflitto nel Donbas e l’annessione della Crimea. Le blande sanzioni comminate allora dai paesi occidentali non hanno toccato Gazprom, rimasto sostanzialmente indenne anche dopo l’invasione dell’Ucraina. Adesso però arriva la vera svolta che ha avuto già un impatto sulle azioni del colosso di stato. 

 

Come tutte le crisi, anche questa costringe a cambiare. Una delle conseguenze più importanti è il nuovo interesse per il Mediterraneo nei cui abissi si cela un mare di gas, mai sfruttato davvero, perché spiazzato, soffocato, dal metano siberiano. Una lunga striscia parte da Ravenna, scende lungo l’Adriatico fino all’Egitto, punta a est verso Israele e risale lungo l’Egeo. C’è altro ancora, con la ripresa delle ricerche verranno nuovi ritrovamenti. Cominciamo dall’Italia. Secondo le stime, nel Nord Adriatico ci sono dai 50 ai 70 miliardi di metri cubi di gas in vari giacimenti già mappati negli anni 90 dall’allora Agip, mai messi in produzione: la maggior parte si trova a più di 12 miglia di distanza dalla linea di costa. L’estrazione potrebbe iniziare fra 18 mesi, ma bisogna sbloccare le autorizzazioni. Sarebbe possibile raddoppiare così la produzione nazionale, con 7-8 miliardi di metri cubi l’anno per almeno 15 anni. Scendendo a sud, incontriamo i giacimenti Tamar e Leviatano in acque israeliane, seguiti da Zohr nell’area di competenza egiziana, il più grande sito mai scoperto nel Mediterraneo grazie all’Eni, infine Calipso e Afrodite nelle acque cipriote. La US Geological Survey stima che nel Mar di Levante esistano ancora enormi riserve. Per sfruttare parte delle risorse già accertate, nasce il progetto EastMed, un gasdotto sottomarino di circa 2000 chilometri, in grado di collegare i giacimenti Leviatano e Afrodite con l’Europa, attraversando Cipro, Creta e terminando in Grecia. Di qui, attraverso l’IGI Poseidon, il gas potrà essere convogliato verso l’Italia. Il progetto, portato avanti da una joint venture formata da Edison e DEPA, e sostenuto politicamente da Israele, Cipro e Grecia, ha un costo di circa 6 miliardi di euro.

 

La nuova attenzione per il Mediterraneo: una lunga striscia di giacimenti parte da Ravenna, scende fino all’Egitto, va a est e risale l’Egeo

 

Le scoperte hanno favorito nuove alleanze strategiche e c’è chi parla di una Opec del gas tra levante e occidente. L’East Mediterranean Gas Forum, nato ufficialmente nel 2020, vede al suo interno Cipro, Egitto, Grecia, Israele, Giordania, Autorità nazionale palestinese, Italia e Francia. La Turchia di fatto è esclusa, così come dal gasdotto EastMed, ma Ankara non ha intenzione di rinunciare al banchetto. Recep Erdogan segue la dottrina Mavi Vatan (Patria Blu) elaborata dall’ammiraglio Cem Gürdeniz nel 2006, il cui obiettivo è ritagliarsi un ruolo di primissimo piano nello scacchiere del Mediterraneo. Ankara usa la marina per portare avanti la ricerca degli idrocarburi, e non rinuncia a mostrare i muscoli quando  ritiene che altri operatori interferiscano con i suoi interessi, come accaduto nel 2018 con la nave Saipem 12000 mentre operava nelle acque di Cipro, diventato lo snodo fondamentale. Senza dimenticare la Libia. Nel 2019 la Turchia ha firmato un accordo, in cambio di un supporto militare al governo di Tripoli, per la ridefinizione delle zone economiche esclusive (ZEE) che si estendono fino a 200 miglia nautiche. In risposta, Grecia, Italia, Egitto hanno firmato ulteriori intese per definire i propri confini marittimi. Ma è già fonte di conflitti e incidenti, come nell’agosto del 2020, quando una fregata greca si è scontrata con una turca. Si possono collegare i giacimenti già operativi agli impianti di liquefazione egiziani, così da inviare il gas via nave. Occorre però fissare chiaramente le aree di competenza e portare avanti precisi piani di sviluppo. Siamo pronti, non solo in Italia, ma in una Europa priva di politica energetica comune? Il labirinto si fa più intricato che mai, ci avviciniamo al Minotauro e ancora non abbiamo trovato il filo di Arianna.

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