(foto EPA)

I Brics verso un'alleanza anti-dollaro, ma gli esperti dicono che non funziona

Mariarosaria Marchesano

La coalizione di cui fanno parte Russia e Cina sta provando a de-dollarizzare il sistema finanziario globale. Ma per essere davvero competitivi con la valuta americana questi paesi dovrebbero liberalizzare le loro economie e i segnali vanno in tutt'altra direzione

La Russia è ufficialmente in default sul debito estero secondo l’agenzia di rating americana Moody’s e per quanto si tratti di un evento paradossale e controverso finirà, secondo l’agenzia di rating europea Scope, per limitare nel lungo termine la flessibilità di finanziamento della Federazione di Putin e potrebbe rappresentare un ulteriore colpo alle sue prospettive di crescita economica. Fino a quando il mercato dei capitali internazionali è regolato in dollari per la maggior parte dei contratti sottoscritti tra un paese che emette debito e investitori che lo acquistano, sarà difficile sfuggire alla tagliola del default per chi è inadempiente per qualsiasi ragione. Ma forse è proprio questo il punto.

La guerra in Ucraina è avvenuta troppo presto perché la Russia possa contare sull’esistenza di sistemi di pagamento, valutari e finanziari alternativi. Eppure, la coalizione Brics – di cui la Russia fa parte insieme a Cina, Brasile, India e Sud Africa - sta provando a de-dollarizzare il sistema finanziario globale, come ha concluso un recente studio dell’Università di Cambridge, attraverso una serie di iniziative. Per esempio, Russia e Cina hanno lanciato i propri meccanismi transfrontalieri come alternativi alla rete di pagamento internazionale Swift e la New Development Bank (la banca dei Brics) si sta impegnando a utilizzare i finanziamenti in valuta locale piuttosto che fare affidamento esclusivamente sul dollaro americano. Ma tutto questo è lontano anni luce dalla creazione di un sistema finanziario globale che non sia quello uscito dagli accordi di Bretton Woods spiega al Foglio Franco Bruni, vice presidente dell’Ispi.

 

“I tentativi di Russia e Cina potranno produrre come effetto che in alcune aree del mondo il dollaro circoli un po’ meno, ma per cambiare la governance attuale basata sul dollaro - parlo delle riserve valutarie, ma anche dei pagamenti commerciali, delle transazioni sui mercati delle materie prime, degli scambi azionari sulle Borse e così via - occorre uno sforzo in termini di apertura della propria economia e di libera circolazione dei capitali che nessun paese al mondo, eccetto gli Stati Uniti, ha dimostrato finora di poter fare. E se una potenza economica come la Cina coltiva, anche legittimamente, questa ambizione con lo yuan, diciamo che non sta facendo nulla per renderla concreta. Il messaggio politico che arriva da qualche tempo dal governo di Xi Jinping, infatti, va in una direzione opposta a quella di una liberalizzazione”.

Pertanto i tentativi di minare questo sistema da parte dei Brics - incluso l’ultimo mega prestito ai paesi della coalizione di 30 miliardi di dollari da parte della NDB, di cui potrà usufruire anche la Russia al riparo delle sanzioni dell’occidente – sono, per Bruni, classificabili come pura propaganda. Eppure, a Pechino non dispiacerebbe affatto che lo yuan contasse di più nelle riserve valutarie mondiali. “Pur avendo due economie della stessa grandezza, Stati Uniti e Cina hanno un peso molto diverso sul sistema finanziario globale, basti pensare che il dollaro rappresenta il 60-65 per cento delle riserve monetarie complessive e lo yuan non più del 3-4 per cento – dice Alessandro Tentori, economista e responsabile degli investimenti di Axa Im -  Il recente aumento degli scambi di materie prime tra Cina e Russia può avere come effetto la riduzione dell’utilizzo del dollaro come moneta nelle transazioni commerciali. Vedo molto difficile, però, che questa strategia possa essere seguita da altri paesi emergenti come Brasile e Messico, che sono allineati agli Stati Uniti”.

Insomma, è in atto o no un attacco al monopolio del dollaro? “Diciamo che la Cina è molto infastidita dal fatto di non riuscire ad esprimere una potenza finanziaria e monetaria oltre che economica e negli ultimi anni si è sforzata di promuovere l’ingresso dei suoi bond governativi nei principali indici mondiali, ma il benchmark del mercato obbligazionario resta il treasury americano, così come gli indici di Wall Street guidano le Borse mondiali”, prosegue Tentori. L’unico ambito in cui la Cina sta dimostrando di essere un passo in avanti agli altri è quello della moneta digitale, fa notare Bruni. In effetti, la Central bank digital currency è la rappresentazione della moneta nazionale emessa dalla banca centrale cinese e viene utilizzata come mezzo di scambio e come riserva di valore e a differenza delle criptovalute è sostenuta da un governo che ne garantisce un corso legale. “Questo percorso va seguito – riflette Bruni – perché potrebbe riservare qualche sorpresa”.

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