i conti in tasca a putin

La Russia pagherà caro le sanzioni sul petrolio, ma non subito

Luciano Capone

Nel breve termine Mosca beneficerà del rialzo dei prezzi, ma l'embargo europeo sul petrolio farà crollare la produzione russa di 2-3 milioni di barili al giorno e le entrate fiscali di 30-40 miliardi di dollari all'anno

Alla fine, dopo aver accettato l’ennesimo diktat del premier ungherese Viktor Orban, ovvero quello di rimuovere dalla black list il patriarca di Mosca Kirill, è stato approvato il sesto pacchetto europeo di sanzioni alla Russia. La misura più importante approvata dai 27 paesi dell’Ue è sicuramente l’embargo del petrolio russo, un blocco degli acquisti di greggio da Mosca che non è immediato (scatterà tra sei mesi per il petrolio e tra otto mesi per i prodotti petroliferi) e non è totale (vengono escluse le importazioni attraverso l’oleodotto che fornisce Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Bulgaria). In ogni caso, a partire dal 2023 sarà bloccato il 90% delle esportazioni petrolifere russe verso l’Ue. Ma quanto sarà colpita l’economia russa da queste sanzioni?

 

Nel breve termine non molto, anzi probabilmente Mosca beneficerà dell’aumento dei prezzi dovuto all’annuncio delle sanzioni. Ma nel medio-lungo periodo le conseguenze saranno pesanti. Innanzitutto bisogna considerare che l’Ue è il principale mercato di sbocco del petrolio russo. A gennaio 2022 i paesi dell’Unione rappresentavano circa il 55% dell’export di petrolio russo (2,3 milioni di barili al giorno su 4,2), a cui vanno aggiunti Regno Unito e Stati Uniti che hanno già imposto l’embargo. Mentre la Cina ha una quota attorno al 30% e l’India, che ultimamente ha notevolmente aumentato gli acquisti, solo dell’1%. Se si aggiungono i prodotti petroliferi, le esportazioni russe in Europa arrivano a circa 4 milioni di barili al giorno, ovvero due terzi delle import europeo dalla Russia. Questa quota però si è già notevolmente ridotta, passando dai 4 milioni di gennaio ai 3 milioni di barili al giorno di maggio a causa delle decisioni autonome e volontarie di stati e aziende europee. Di questi 3 milioni, saranno esentati dall’embargo solo 0,3 milioni acquistati da Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca e Bulgaria, paesi fortemente dipendenti da Mosca ma che rappresentano solo un decimo dell’import Ue.

 

Per Mosca sarà impossibile, per questioni infrastrutturali e logistiche (su cui peserà anche il divieto per le compagnie occidentali di assicurare le navi che trasportano petrolio russo), reindirizzare le forniture in Asia. Secondo le stime di Reuters, la Russia potrebbe essere in grado di trovare nuovi acquirenti solo per 1 dei 3 milioni di barili al giorno oggetto del blocco. Secondo Fitch, invece, già prima dell’inizio dell’embargo europeo, cioè per la fine del 2022, potrebbero sparire dal mercato tra i 2 e i 3 milioni di barili al giorno di export russo, ovvero tra il 20-30% dell’intera produzione nazionale e tra il 30-40% dell’export. A questi problemi vanno aggiunte le sanzioni tecnologiche, che possono complicare i piani e i progetti dell’industria petrolifera che ha bisogno di nuovi investimenti.

 

Sul versante economico, le perdite rischiano di essere consistenti. Non solo per la riduzione dei volumi, ma anche per l’effetto sul prezzo. Perché se è vero che da un lato le sanzioni fanno salire il prezzo del petrolio, che sarà un costo maggiore per l’Europa, dall’altro fanno ridurre il prezzo del solo petrolio russo perché forniscono un maggiore potere di mercato a Cina e India che rappresentano l’unica alternativa per Mosca. Ora il petrolio degli Urali viene venduto con uno sconto di 35-40 dollari, con un prezzo medio che ad aprile-maggio è stato di 73 dollari (non molto superiore rispetto ai 62 dollari all’anno scorso), ma gli acquirenti indiani chiedono già ai russi di scendere sotto ai 70 dollari. Secondo le stime conservative di Bloomberg, l’embargo europeo può costare alla Russia 22 miliardi l’anno. Secondo Reuters il conto è più salato, dai 30 ai 40 miliardi di dollari.

 

Naturalmente la Russia in questi mesi di prezzi elevati sta accumulando riserve e quindi Putin sarà capace di finanziare la sua macchina di guerra in Ucraina. Ma si tratta comunque di un colpo pesante per un paese sempre più dipendente dalle esportazioni di oil & gas, che ormai rappresentano oltre il 60% delle entrate del bilancio federale. Le sanzioni agiranno come un cappio che si stringe lentamente: alla profonda recessione in corso si aggiungerà una riduzione costante dei proventi petroliferi, l’unica arteria che porta ossigeno all’economia russa.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali