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Tutti i luoghi comuni da sfatare sul nucleare, unica e vera nostra salvezza

Umberto Minopoli

“L’avvocato dell’atomo”, un libro che smonta colpe e pregiudizi sulla tecnologia energetica meno pericolosa, meno impattante per l’ambiente e meno difficile da gestire nelle sue conseguenze future tra quelle a disposizione

Se all’energia nucleare ci fosse davvero da fare un processo, non c’è dubbio che in Luca Romano, fisico e divulgatore, essa avrebbe trovato un ottimo difensore. Di quelli capaci di rovesciare le imputazioni in prove a favore. Il suo libro, L’Avvocato dell’Atomo (Fazi), non è solo una spiegazione, informata e puntuale, dei vantaggi e della realtà dell’energia nucleare oggi. Esso va letto, piuttosto, avendo in mente esattamente l’opposto: i pregiudizi, le colpe, i timori, la casistica intera delle obiezioni che si fanno a questa fonte di energia. Luca Romano li affronta, uno a uno e, con dovizia di dati, informazioni, numeri e argomenti li smonta, li riporta alla loro dimensione effettiva e trasforma i più radicati luoghi comuni a sfavore in ragioni per sostenere l’energia atomica.
 

Il libro non rimuove né tralascia nulla che possa esser creduto un fattore di imbarazzo per chi sostiene il nucleare. Inizia e si diffonde, per una buona parte del libro, sul principale capo di accusa, quello più diffuso e ripetuto: “Il nucleare è pericoloso”. Accusa che comprende una casistica variegata di imputazioni: dai disastri ambientali di Chernobyl e Fukushima, alle caratteristiche della tecnologia, alla natura della radioattività ai problemi delle scorie. Il trattamento dettagliato del  complesso di indizi inquisitori accompagnati a queste imputazioni è talmente argomentato e circostanziato nel libro che la conclusione che se ne ricava – il nucleare è  la tecnologia energetica meno pericolosa, meno impattante per l’ambiente e meno difficile da gestire nelle sue conseguenze future (ad esempio, le famigerate scorie radioattive) – risulta una deduzione, quasi naturale. Gli incidenti di Chernobyl e Fukushima che, coraggiosamente, aprono  il “processo” all’atomo nel libro di Romano, descritti nel dettaglio delle loro dinamiche concrete risultano, in modo convincente ed argomentato, come eventi eccezionali, particolari, irripetibili: anomalie in un track record di stabilità e affidabilità delle tecnologie nucleari. Che non ha paragoni in nessun ambito di comparazione (numero di morti, compromissioni ambientali, emissioni ecc.) si voglia utilizzare verso gli incidenti o gli impatti di altre tecnologie energetiche, chimiche o industriali. I numeri sono numeri, direbbe un logico o un empirista. Quelli del nucleare sono mistificati, piuttosto, dalla narrazione che se ne fa. Del tutto disancorata dalla verità effettiva e dalla nuda realtà dei fatti. La Chernobyl vera, argomenta Romano, è stata quella dell’informazione sugli incidenti nucleari, “assai peggiore delle radiazioni stesse”.
 

L’avvocato ha buon gioco, nel tirar fuori la messe di esagerazioni errori, giornalistici, autentiche bufale che , sul disastro di Chernobyl e di Fukushima, hanno costruito “autentici romanzi di fantascienza distopica” per intaccare la reputazione del nucleare civile. La stampa italiana, nel 1986 e nel 2011, epoca dei due incidenti, si distinse, particolarmente, nell’esercizio della distorsione. Non è un caso che l’Italia sia stato l’unico paese industriale a “fuoriuscire” dal nucleare (referendum 1987) e a decidere di non rientrarci (referendum 2011). E’ difficile scegliere, nella dovizia di risposte e argomenti della “difesa dell’atomo”, contenute nel libro, quelle meritevoli ci citazione. Mi limito a uno, di attualità nel dibattito, anche italiano, di questi giorni: la bizzarra contrapposizione tra rinnovabili e nucleare. Che sembra valere, nel mondo industrializzato, solo  per Italia e Germania. Il libro dettaglia in modo inequivoco e difficilmente contestabile, invece, come ai “limiti oggettivi delle tecnologie rinnovabili” (intermittenza, aleatorietà, tensioni sulle materie prime, consumo di suolo o di superfici) il nucleare, insieme alle rinnovabili “non intermittenti” (idroelettrico, geotermia e biomasse), ma limitate per ragioni di saturazione e disponibilità, sia l’unica fonte “continuativa” ipotizzabile in un mix energetico decarbonizzato. Lì, del resto, va il mondo. 

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