(foto di Ansa)

(non) complotti energetici

Perché a Biden non serve la guerra per vendere Gnl all'Europa

Luciano Capone e Carlo Stagnaro

Le esportazioni di gas americano in Europa stavano già aumentando prima del conflitto e il gnl che attraverserà l'oceano per arrivare in UE è tolto ad altri mercati

Cui prodest? È questa la domanda da cui spesso si parte per giungere a risposte sbagliate, generalmente dal sapore complottista. Un esempio di questo modo di ragionare è alla base della narrazione secondo cui Joe Biden soffierebbe sul fuoco della guerra in Ucraina per prolungare il conflitto, in modo da allontanare l’Europa dalla Russia al fine di vendere ai paesi dell’Ue il suo gas naturale liquefatto (Gnl) al posto del meno costoso gas russo. La prova sarebbe l’accordo del 25 marzo tra Stati Uniti e Unione europea con cui Washington si è impegnata a rifornire l’Europa di 15 miliardi di metri cubi aggiuntivi di gas nel 2022, con possibilità di ulteriore incremento in futuro. Sembra un ragionamento che fila, ma è del tutto errato perché contraddetto dai fatti e perché confonde le cause con le conseguenze. Se il vero obiettivo di Biden fosse vendere il gas potrebbe ottenere il risultato in modo molto più semplice ed economico che non aizzando l’Europa contro Putin. 

 

Per capire come stanno le cose, bisogna  guardare ai numeri. È vero, per cominciare, che il Gnl americano arriva in Ue a un prezzo più che doppio rispetto al gas russo? In generale, non è così. Gli importatori europei acquistano da Gazprom sulla base di contratti di lungo termine, generalmente indicizzati al Ttf. Essi tengono conto dell’andamento delle quotazioni sulla Borsa olandese nei mesi precedenti e, a volte, anche di altri prodotti. In una fase di continua e rapida crescita i prezzi di lungo termine sono verosimilmente sotto al Ttf, ma non di molto. Inoltre, nel lungo termine convergeranno verso i valori attuali: sicché, come sono in ritardo ad adeguarsi al rialzo lo saranno al ribasso. Il gas americano può arrivare o sulla base di acquisti spot o sulla base di impegni di lungo periodo. Nel primo caso, gli europei pagano prezzi da capogiro, esattamente come li riconoscono a qualunque altro produttore nelle medesime condizioni (Norvegia, Qatar, Australia o anche paesi intra-Ue). I contratti, invece, hanno formule di indicizzazione diverse e, in generale, non conosciute perché contengono il più sensibile dei dati.

 

Tuttavia c’è un’enorme differenza tra il prezzo del gas sul mercato nordamericano (ieri circa 21 euro/MWh) e il Ttf (ieri circa 110 euro). Tra questi due estremi c’è un enorme spazio negoziale, che dipenderà dalle condizioni contrattuali fra cui è molto rilevante la durata. E’ probabile che, anche in considerazione della forte valenza politica della trattativa, il punto di equilibrio sia ben lontano dai picchi del Ttf e che, comunque, sia a sua volta indicizzato a un paniere di prodotti che terrà conto, per esempio, delle quotazioni americane (l’Henry Hub), europee (il Ttf) e forse anche asiatiche (il Jkm, da mesi allineato all’Ue). Secondo i dati dell’Energy Information Administration, d’altra parte, il costo medio a cui gli importatori europei hanno acquisito il gas a stelle e strisce nel 2021 si aggira attorno ai 25-30 euro/MWh. 

 

Se i prezzi non sembrano confermare la teoria del complotto americano, che dire dei volumi? Anche qui c’è poca trippa. Attualmente la capacità di liquefazione americana – che è il vero collo di bottiglia infrastrutturale che limita l’export – è di 124 miliardi di metri cubi annui, che cresceranno a 144 nel prossimo triennio. Anche se in Europa c’è ancora molta capacità di rigassificazione disponibile (a gennaio 2022 il tasso di utilizzo dei rigassificatori era al 74 per cento), gli Stati Uniti non possono venderne di più perché stanno liquefacendo ed esportando ogni singola molecola di gas possibile. Il Gnl americano infatti non serve solo a rifornire l’Europa: nel 2021 i principali paesi destinatari sono stati la Corea del Sud, la Cina, il Giappone e il Brasile. La Spagna, il maggiore importatore europeo, arriva solo in quinta posizione; l’Italia ventiduesima. C’è un trend crescente di importazioni in Ue (dal 16 per cento del 2019 al 28 per cento del 2021), proprio perché il Gnl Usa è un elemento fondamentale della strategia di sicurezza e diversificazione energetica europea, ma almeno nel breve termine i volumi diretti all’Europa non saranno per gli Stati Uniti business aggiuntivo, ma sostitutivo: saranno cioè sottratti ad altre aree del globo. Che è esattamente quanto accaduto negli ultimi tre mesi, quando l’Europa ha improvvisamente scalato le posizioni diventando la principale meta delle metaniere a stelle e strisce.

 

È talmente vero che gli Usa non riescono a soddisfare la domanda europea che a gennaio, prima dell’invasione dell’Ucraina, mentre la Russia tagliava le forniture, Biden ha incontrato lo sceicco al-Thani del Qatar per convincerlo ad aumentare le forniture di Gnl verso l’Europa. Il Qatar è insieme agli Stati Uniti e all’Australia il maggior esportatore mondiale di Gnl, quindi se l’obiettivo di Biden fosse stato quello di aumentare le vendite verso l’Ue di certo non avrebbe chiesto a un concorrente di farlo al posto suo. Dal punto di vista economico  i conti non tornano, ma neppure da quello politico. Biden ha un pessimo rapporto con l’industria petrolifera americana. Per tutta la campagna elettorale e nei primi mesi di mandato, la Casa Bianca ha sempre rimarcato la distanza dalle oil company, al punto che ancora oggi non c’è stato alcun incontro formale con le associazioni di categoria. Biden è arrivato addirittura a minacciare le compagnie di togliere e riassegnare i permessi esplorativi inutilizzati se le aziende non si mettono subito a trivellare. E tutto ciò perché, con la benzina ormai stabilmente sopra i 4 dollari al gallone e anche il gas in crescita, i democratici temono di perdere le elezioni di midterm del prossimo autunno. 

 

Insomma: l’industria americana non aveva bisogno della spinta di Biden per vendere Gnl all’Europa e lo stesso Biden avrebbe, semmai, l’interesse a una stretta protezionistica. Inoltre, il peso del gas sull’economia americana non è affatto paragonabile a quello della Russia e, comunque, non è tale da poter determinare la politica estera americana, dati anche i rapporti non proprio idilliaci tra il presidente e l’industria petrolifera. Se il Gnl americano è diventato necessario per un’Europa che si vuole finalmente sganciare da Mosca è solo responsabilità di Putin, che pensava di poter usare il suo gas come arma strategica di ricatto  nei confronti dell’Ue.  Come tutte le tesi del complotto, anche quella che vede la longa manus di Biden e dei petrolieri  dietro la guerra in Ucraina prende fischi per fiaschi. O, per meglio dire, birilli per barili.

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