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Sull'energia Draghi trasformi gli applausi in opere concrete

Chicco Testa

Ieri mattina persino il passaggio del discorso di Draghi sulla necessità di rimettere in funzione le centrali a carbone è stato acclamato. Ma allora perché si è corso a chiudere impianti che la Germania tiene aperti?

Fossi nel presidente del Consiglio Mario Draghi non conterei molto sugli applausi, talvolta addirittura unanimi, che hanno sottolineato alcuni passaggi del suo discorso parlamentare relativi ai temi dell’energia. E’ vero che spesso le emergenze schiariscono di forza le idee, anche a chi le ha molto confuse, ma quando i chiarimenti non si accompagnano a riflessioni un po’ più profonde il rischio è che le cattive abitudini riprendano rapidamente il sopravvento. Come i riflessi automatici di chi non realizza le necessarie connessioni con la realtà. 

 
Ieri mattina persino il passaggio del discorso di Draghi sulla necessità di rimettere in funzione le centrali a carbone per tenere bassi i prezzi dell’energia elettrica ha ricevuto applausi. Ma allora perché si è corso a chiudere impianti che la Germania tiene tranquillamente aperti e, anzi, saranno sempre più necessari dopo la cancellazione del Nord Stream 2? Persino la Francia nucleare vi ha fatto ricorso. Ma l’elenco delle incongruenze non finisce certo qui

 

Forse occorrerebbe partire dalla posizione del Pd che non molte settimane fa, con un tweet di Enrico Letta, annunciava la sua contrarietà a inserire nella tassonomia europea nucleare e gas. Cioè una fonte per la quale l’Europa non dipende dalla Russia e che l’Italia importa abbondantemente dalla Francia e dalla Svizzera, e un’altra senza la quale l’economia italiana è letteralmente in panne. Salvo poche settimane dopo il tweet richiedere la riapertura delle estrazioni di gas nel Mediterraneo, contro le quali il Pd aveva peraltro votato più volte negli anni passati. Fra l’altro è straordinaria la quasi completa assenza di preveggenza e di analisi del maggiore partito della sinistra relativamente ai costi che inevitabilmente pesano sulle classi più deboli, generati dalla transizione. La quale non c’entra con l’Ucraina ma c’entra con la continua sottovalutazione del ruolo che i combustibili fossili, compreso il petrolio, il cui rialzo sta mettendo in ginocchio  tutto il settore dell’autotrasporto, avrebbero continuato a rivestire per decenni. Ma l’elenco degli errori commessi è sterminato e vede ben pochi innocenti. Probabilmente una menzione speciale la merita la regione Puglia, che con grande tempestività riuscì a far fuggire British Gas che a Brindisi voleva realizzare un rigassificatore, che oggi varrebbe  oro, per poi spostarsi alla guerra al gasdotto Tap, con l’accordo di buona parte delle forze politiche locali, e oggi fresca fresca boccia un sito di stoccaggio off-shore di gas liquido a Taranto.


In compenso torna forse buono il rigassificatore di Porto Empedocle, tenuto fermo dagli enti locali siciliani per quasi vent’anni.  Ci si domanda poi dove  sia finita la guerra ai Sad (sussidi ambientalmente dannosi) che i funzionari del ministero dell’Ambiente, oggi Mite, continuano ad  aggiornare inutilmente  e a quelli che volevano  aumentare le tasse sul gasolio e su altri consumi energetici, mentre oggi ci si affanna a ridurli per evitare la morte di chi ne beneficia. Ma la sindrome Nimby non risparmia praticamente nessuna forza politica al nord e soprattutto al sud. Mettere in rilievo gli errori e le contraddizioni dei 5 stelle è compito sterminato ma facilissimo e a tutti noto. Hanno fatto perdere all’Italia anni e anni con urla inconcludenti.  Ma non c’è amministratore locale di Lega, Fratelli d’Italia o Forza Italia che non sposi le ragioni, anche oggi, persino ora, di chi si oppone a qualsiasi rafforzamento delle infrastrutture energetiche italiane. Aveva quindi ragione il ministro Roberto Cingolani, anche lui applaudito per la citazione  fatta da Draghi, dopo aver subìto attacchi di ogni genere, nel richiedere dosi massicce di realismo e di pragmatismo. E’ venuto il momento giusto perché questo avvenga? Non c’è che sperarlo. Sperare in un compromesso fondato sulla ragione e sulla necessità.


Ma fossi in Draghi mi metterei al riparo approfittando del momento e degli applausi per aumentare i poteri dell’esecutivo in materia energetica, come normalmente si fa nelle eccezionali situazioni di emergenza. Se il ministro della Cultura Dario Franceschini e i suoi funzionari continuano a fare la guerra alle rinnovabili, se le regioni e i sindaci si mettono di traverso a ogni impianto, se non si capisce insomma che è inutile aspettare che passi la nottata, perché non passerà in poco tempo, andremo lentamente a fondo fra gli applausi inconsapevoli dei nostri stimati parlamentari.

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