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meno carte più conoscenza

Ecco cosa ostacola l'economia circolare. Le soluzioni della Cna

Claudio Di Donato e Barbara Gatto

Favorire lo sviluppo delle competenze e limitare la burocrazia, così si stimola il tessuto delle piccole e medie imprese

Secondo i dati del Global Footprint Network, ogni anno consumiamo in tutto il mondo 1,75 volte l’ammontare delle risorse naturali che l’ecosistema terrestre riesce a rigenerare, ma sono i paesi più ricchi e sviluppati i divoratori più insaziabili. L’Italia ad esempio esaurisce il budget di risorse a metà maggio e per il resto dell’anno contrae un debito con il pianeta. Se il resto del mondo fosse come l’Italia servirebbero 2,77 pianeti, ed è una magra consolazione che gli Stati Uniti esauriscano il budget di risorse a inizio marzo o il Qatar il 9 febbraio. E tantomeno che nessun paese riesca ad andare in credito, soltanto l’Indonesia è in sostanziale pareggio (18 dicembre).

 

Il consumo di risorse a livello globale è sempre più insostenibile, come indica un report dell’Ocse. Un consumo che è passato da 27 gigatonnellate nel 1970 a 89 gt nel 2017 e si stima che arriverà a 167 gt nel 2060. Tale trend si riflette sulle quotazioni delle materie prime come stiamo già osservando, nonché sulla volatilità dei prezzi. Non ci sono rischi di esaurimento a breve delle risorse non rinnovabili, ma la pressione a causa della domanda crescente non è bilanciata da riserve facilmente accessibili, con la conseguenza che i costi di estrazione lievitano così come il livello di emissioni (oltre il 60 per cento è provocato da estrazione, lavorazione e uso delle materie prime).

 

La transizione ecologica quindi sta diventando il sistema di orientamento delle politiche economiche e l’Europa si distingue per una leadership almeno culturale. Circa un terzo delle risorse mobilitate con il Next Generation Eu è vincolato alla transizione green, per l’Italia quasi 70 miliardi di euro. All’interno di tale missione compare il capitolo dell’economia circolare alla quale sono destinati 5,3 miliardi. 
Si tratta di un investimento strategico per l’Italia e per l’Europa, considerando che il vecchio continente importa gran parte delle materie prime. L’economia circolare è destinata ad avere un notevole impatto sui processi produttivi, ma in Europa e soprattutto in Italia è ancora un fenomeno alimentato dalla spontanea iniziativa delle imprese. C’è un deficit da colmare in termini di indirizzi politici, strumenti incisivi di accompagnamento e diffusione di conoscenze e competenze.

 

Allungare il ciclo di vita dei prodotti e ridurre i rifiuti al minimo non è un processo semplice e privo di costi e richiede la rimozione di barriere e vincoli. Per contribuire a dare impulso alla transizione il Centro Studi della Cna ha promosso un’indagine su un campione significativo di imprese per fotografare la situazione, osservare quanto l’economia circolare sia diffusa, quali benefici offre alle imprese e quali sono i fattori che ne frenano lo sviluppo. Un dato incoraggiante è che un terzo delle imprese artigiane, micro e piccole, ha avviato processi di economia circolare e un altro 13 per cento ha programmato di attivarli nell’immediato futuro. Per il 50 per cento del campione, l’economia circolare è un fattore strategico, quasi l’80 per cento la ritiene un generatore di esternalità positive per l’intera collettività e per il 71,4 per cento rappresenta un forte impulso all’innovazione.

 

L’indagine della Cna analizza poi gli ostacoli che frenano lo sviluppo dell’economia circolare. Il principale ostacolo è la scarsa disponibilità delle necessarie competenze per il 37 per cento del campione. Un dato che chiama in causa il sistema formativo e di diffusione delle conoscenze. Tra gli altri principali elementi ostativi figurano elevati investimenti per adeguare i processi produttivi (25 per cento), le complessità burocratiche (20,2 per cento), l’assenza di incentivi e agevolazioni (19 per cento). Altra criticità riguarda l’elaborazione da parte delle imprese di specifici indicatori per individuare, monitorare e gestire le opportunità connesse all’economia circolare. Soltanto il 10,6 per cento che ha avviato processi di economia circolare elabora questo tipo di indicatori.

 

L’Italia ha conseguito buoni risultati ed è leader in Europa con il 19,3 per cento di utilizzo circolare della materia rispetto al 12 per cento della media Ue, ma i progressi da qualche tempo non sono più significativi. Per un’accelerazione è necessario il pieno coinvolgimento delle micro e piccole imprese attraverso politiche chiare e coerenti con gli obiettivi della transizione, favorendo la conoscenza ed eliminando una serie di ostacoli a partire dal moloch della burocrazia. L’Osservatorio della Cna ha calcolato che, ad esempio, nel settore della moda l’80 per cento degli scarti produttivi non viene riutilizzato a causa della complessità normativa, per cui le imprese preferiscono trattarli come rifiuti piuttosto che rischiare sanzioni salate.

 

Per la Cna è centrale definire indirizzi e politiche per stimolare l’economia circolare nel tessuto delle Pmi. Le priorità sono favorire la creazione, anche attraverso il ruolo delle associazioni di categoria, di un network di competenze a disposizione delle imprese; incentivi economici e fiscali per sostenere gli investimenti in circolarità; definire un set di indicatori per misurare l’economia circolare tarati sulle caratteristiche delle Pmi; ridurre la burocrazia ed eliminare le barriere normative che oggi ostacolano la riconversione in chiave circolare delle imprese; favorire forme di partnership lungo le filiere produttive per la valorizzazione di materie e prodotti recuperati. È tempo di agire rapidamente per far girare l’economia circolare, ce lo chiede la Terra verso la quale stiamo accumulando un debito che rischia di diventare insostenibile. 

 

Barbara Gatto, dipartimento Politiche Ambientali Cna, e Claudio Di Donato

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