Solo aggregazioni di mercato. Così cambia il risiko bancario

Mariarosaria Marchesano

Il passo indietro di Orcel e il plauso di Messina al taglio dei sussidi pubblici. Cercansi “operazioni di valore”

Gli utili in crescita inaspettata nel terzo trimestre di Mps, dopo il ritorno alla profittabilità avvenuto nei primi sei mesi dell’anno, accendono le speranze sul percorso di recupero della redditività intrapreso dalla banca pubblica che è l’unico che può mettere il governo nelle migliori condizioni per ritentare la strada della privatizzazione nel 2022. “Stand alone”, stare in piedi da sola, è, infatti, il nuovo mantra di Siena dopo lo stop delle trattative con Unicredit e la richiesta del Mef a Bruxelles di prorogare la scadenza della privatizzazione prevista per la fine di quest’anno. Il futuro, tra aumenti di capitale e revisione del piano industriale, resta una strada in salita anche se gli utili macinati nel periodo luglio-settembre (186 milioni di euro che portano a 388 milioni il risultato dei primi nove mesi) offrono l’assist ad alcune forze politiche per continuare a immaginare Mps come capofila di un polo bancario pubblico con annessa la Popolare di Bari. Comunque vada, la banca di Siena è uscita, per ora, dal tavolo del risiko che d’improvviso ha preso una nuova piega, libero com’è da forzature e più povero di incentivi fiscali pubblici. 


Su questo punto si è soffermato mercoledì sera il ceo di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, nella call con i giornalisti per la presentazione dei risultati che vedono il raggiungimento con tre mesi di anticipo dell’obiettivo minimo di utile per il 2021 (4 miliardi). “Credo che il governo abbia fatto bene a ridurre questi sussidi per le aggregazioni bancarie portandoli a un livello di ragionevolezza altrimenti si rischiano distorsioni di mercato”, ha detto Messina. E ha aggiunto: “Noi abbiamo fatto l’operazione con Ubi che è stata di grandissimo successo e nessuno ci ha regalato niente. Non capisco perché si debba godere di sussidi da parte del governo. Credo che sia possibile trovare combinazioni che presentino sinergie industriali e trovare soluzioni che creano valore per gli azionisti”. 


La riflessione di Messina riporta il dibattito pubblico sul tema del consolidamento bancario sul piano del mercato dopo qualche anno in cui la necessità di trovare un compratore per Mps ha finito con il condizionare i progetti di tutte le altre banche. Per un lungo periodo anche la Borsa ha scommesso su tutte le combinazioni possibili tra istituti che avrebbero offerto un’ancora di salvataggio all’istituto senese (la triangolazione Unicredit-Mps-Bpm è stata tra le opzioni più gettonate). Ma oggi si ragiona in modo diverso. Fare quello che ha fatto l’amministratore delegato di Unicredit, Andrea Orcel, vale a dire non precludersi la trattativa con il Mef per un eventuale accorpamento del Monte salvo alzare bandiera bianca di fronte a condizioni non accettabili dal suo punto di vista, e dire quello che ha detto Messina sul rischio di distorsione di mercato che può creare un uso eccessivo degli stimoli governativi, sposta il risiko in una nuova dimensione. Benché ci sia consapevolezza che trovare una soluzione per Mps sia interesse di tutto il sistema finanziario, i capi di due grandi banche rivendicano la possibilità di poter fare operazioni di aggregazione a patto che creino valore per gli azionisti, i quali solo se ricorre questa condizione le accettano e le votano in assemblea. Ed è questo anche il motivo per cui non si vedono fusioni con banche estere nonostante i tanti rumors che circolano. “In Europa mancano i fattori abilitanti per operazioni cross border, bisogna creare queste condizioni superando limiti e vincoli che esistono in ogni singolo paese – ha detto Messina – Mentre nell’ambito domestico è possibile immaginare operazioni che possano creare valore per gli azionisti”.


Per il ceo di Intesa Sanpaolo “il fatto che Jp Morgan abbia una capitalizzazione di mercato che è la somma di tutte le principali banche europee, dà l’idea di come l’Europa non abbia affrontato correttamente questo elemento”. In sintesi, le fusioni tra banche allo stato attuale sono più facili da realizzare in Italia, sempre che siano giustificate da sinergie industriali. Va detto che la febbre da concentrazione è stata alimentata a un certo punto dalle previsioni sull’ondata di deterioramento del credito che sarebbe seguita alla pandemia mettendo a rischio la solidità patrimoniale di molte banche. Più volte il presidente del consiglio di Sorveglianza della Bce, Andrea Enria, ha indicato la strada del consolidamento per preservare la stabilità finanziaria dell’Eurozona: se le banche si uniscono, questa la sua teoria, sarà più facile gestire l’aumento degli npl che la crisi economica pandemica inevitabilmente genererà. Però, l’ondata non c’è stata come ha confermato ieri il direttore generale della Banca d’Italia, Luigi Federico Signorini: “Il sistema bancario italiano, come del resto quello di altri paesi, ha retto nel complesso bene all’urto della pandemia, diversamente da quanto accadde nella crisi del 2008”. La dimostrazione è che gli utili degli istituti di credito sono tornati a crescere nel primo semestre di quest’anno. 


Insomma, le misure di contenimento della crisi messe in atto dal governo hanno funzionato e con il pil in crescita di oltre il 6 per cento quest’anno i fattori di rischio per le banche sono fortemente ridimensionati. Tutto questo che cosa vuol dire? Che sono cambiate le condizioni di fondo del risiko bancario così come lo si era immaginato fino a oggi. Chi guida una banca oggi vuole essere certo che unendosi con un altro soggetto porti a casa un risultato, sa che può contare su scarsi incentivi pubblici e con l’economia in ripresa teme di meno un indebolimento del patrimonio di vigilanza. Nulla di meglio per coltivare strategie “stand alone” fino a quando non emerga la giusta opportunità. In quest’ottica non mancano i dossier da tenere d’occhio. Bper-Popolare di Sondrio è uno di questi, in vista della trasformazione in spa della banca valtellinese che dovrebbe essere votata dall’assemblea a metà dicembre, mentre per Banco Bpm che oggi presenta il piano industriale senza esuberi la tentazione sembra ancora di ballare da solo, a meno che non riprendano i colloqui con Unipol-Bper.   

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