l'intervista

Sul clima una prospettiva da aggiornare. Parla Franco Prodi

Ruggiero Montenegro

“L’aumento delle temperature non è in discussione. Ma prima di tutto bisogna pensare che il cambiamento è connaturato al clima", ci dice il fisico. Se non si tiene conto di questi fattori "la Cop26 non è utile”

"Il cambiamento climatico richiede adattamento, non panico”. L’assunto, piuttosto controcorrente per i tempi che corrono, arriva dal Wall Street Journal: è il titolo di un articolo che spiega come, sebbene adattarsi non elimini del tutto i costi del riscaldamento globale, ne riduca in buona parte gli effetti. Una conclusione a cui il Wsj arriva prendendo in esame alcuni studi allarmanti, dove si presuppone che le persone, e le comunità nazionali, non facciano nulla per cambiare atteggiamenti e risposte rispetto al problema climatico. L’analisi si inserisce in un filone più ampio, una serie di contenuti che la testata americana ha pubblicato nelle ultime settimane in vista della Cop26. Articoli sul cui merito si può certamente discutere, essere più o meno d’accordo, o rinnegare del tutto, ma che hanno il merito di porre al centro della discussione alcuni temi decisivi quando si parla di climate change, di soluzioni, di transizioni ecologica e di strumenti o azioni per metterla in pratica. Tutti temi e finalità sacrosante, ma che hanno pure ingenti costi, economici e sociali, da cui non si può scappare. Questioni che talvolta finiscono in secondo piano, ma che restano imprescindibili se si vuole affrontare con serietà, e senza demagogia quella che da molti è considerata la sfida di questo secolo.

 

Ieri, a Glasgow, è partita la conferenza sul clima delle Nazioni Unite. E’ stata definita “la più importante di sempre”, l“ultima grande possibilità”, e riunirà capi di stato, ministri e negoziatori di oltre 190 paesi. Proveranno a trovare un accordo comune e concreto su quali azioni intraprendere a livello globale per combattere l’innalzamento delle temperature, abbassando drasticamente le emissioni di C02, fino ad azzerarle in tempi relativamente brevi, nell’ordine di qualche decennio. Un approccio da qualcuno definito catastrofista, che segue le indicazioni dell’ultimo rapporto dell’Ipcc dell’Onu e addebita, “inequivocabilmente”, al comportamento dell’uomo le principali cause del fenomeno. In Scozia è attesa anche Greta Thunberg, la grande ispiratrice della protesta climatica, che proprio dall’Italia, in occasione dell’evento Youth4Climate: Driving Ambition tenutosi a Milano a fine settembre, ha attaccato il “bla bla bla” della politica, oltre a dirsi scettica sugli effettivi  risultati che potranno arrivare il 12 novembre, quando la conferenza si concluderà.

 

Uno scetticismo a cui arriva, pur passando per sentieri decisamente diversi, opposti, anche il fisico dell’atmosfera e climatologo Franco Prodi. Nel suo curriculum, cinquant’anni di studi al Consiglio nazionale delle ricerche, venti dei quali da direttore del Fisbat e poi dell'Isac, gli istituti del Cnr dedicati alle scienze dell'atmosfera, oltre alle esperienze al Cnen – Comitato nazionale per l'energia nucleare e come professore universitario a Ferrara. Rifiuta l’approccio catastrofista,  quello che definisce “il “mantra”, il pensiero unico”, e il metodo delle Nazioni unite, conclusioni che ritiene ancora troppo affrettate: “Premetto che bisogna distinguere due ambiti: quello della scienza e quello del rapporto tra Onu, governi e scienziati. L’Ipcc è un panel costituito come forma di dialogo tra esperti nominati dalla politica e non dalle comunità scientifiche nazionali. La scienza procede in altri ambiti che sono quelli, per esempio, della International Union of Geodesy and Geophysics, che fa le sue conferenze, e sulla base di queste e delle pubblicazioni su riviste qualificate produce la propria conoscenza. Bisogna partire da qui per commentare la situazione”. Andiamo avanti allora, andiamo al merito e alle altre criticità, che Prodi individua nel modello apocalittico: “L’aumento delle temperature non è in discussione. Ma prima di tutto bisogna pensare che il cambiamento è connaturato al clima. Ci sono ragioni astrofisiche e astronomiche, oltre a quelle atmosferiche. Dire che la responsabilità sia tutta antropica è un’affermazione che non trova riscontro nelle conoscenze attuali della climatologia, una disciplina relativamente giovane, nella sua infanzia. E non consente questo tipo di previsioni”.  


E però le immagini arrivate dalla Sicilia nei giorni scorsi, le alluvioni e i fenomeni meteorologici così estremi, il ciclone Apollo, ci ricordano che qualcosa sta accadendo e che qualcosa bisogna fare. Oltre a questo, resta il fatto che le conclusioni a cui giungono le Nazioni Unite si appoggiano sull’analisi di migliaia di studi. Dove avrebbero sbagliato? “Quelli dell’Ipcc sono scenari che derivano dai loro modelli e non possiamo basare tutte le nostre scelte su studi in cui gli effetti delle nubi, dell’aerosol fuori nube, dei gas poliatomici e così via, vengono parametrizzati in modo grossolano. E dunque – spiega il climatologo – gli scenari che ne derivano non possono essere accettati come previsioni in senso stretto, come accade invece con la meteorologia. È questa la sostanza del problema dal mio punto di vista”. 

 

A Glasgow non saranno di certo contenti di leggere queste parole, perché seguendo la prospettiva descritta da Prodi non si può che concludere che la Conferenza sul clima non porterà particolari benefici. E’ questo che intende? “Con quelle basi, la Cop 26 non è utile. E anche questa, si vedrà, è destinata al fallimento. Da cittadino leggo i giornali e non è difficile prevedere che finisca come in passato”. Il fisico dell’atmosfera si riferisce al fatto che, per esempio, Putin non sarà fisicamente in Scozia. E salvo ripensamenti dell’ultima ora non ci sarà nemmeno il presidente cinese Xi Jinping, che col passar dei mesi ha più volte annunciato piani e svolte green, ma pare aver snobbato il meeting internazionale, un’assenza significativa. E si capisce bene che senza la principale responsabile delle emissioni di C02, circa il 28 per cento, ogni accordo non potrà essere troppo efficace. Per dire, l’Europa intera produce solo l’8-9 per cento delle emissioni globali.


“Ci sono delle conseguenze enormi andando su questa strada”, dice ancora Prodi: “Io vorrei limitarmi a considerazioni di carattere climatologico, sarebbe opportuno considerare di fermare questo treno della Cop e ripartire su un altro aspetto, ben più ampio: la tutela e la salvaguardia del pianeta, è su questo che bisogna trovare una convergenza mondiale”. Ci spieghi meglio: “Ciò che minaccia l’ambiente planetario si può calcolare, al contrario dell’attribuzione antropica del cambiamento climatico. L’aumento della popolazione, la qualità dell’aria, dei terreni e dei fiumi, la quantità di metalli pesanti presenti negli oceani sono tutti fenomeni misurabili e incidono sul pianeta. Bisognerebbe valutare tutte queste cose e andrebbe rivisto l’intero concetto di benessere sulla base di queste considerazioni”.

 

Messa in questi termini però, sembra che alcune osservazioni siano sovrapponibili a quelle dell’Onu, alle prerogative più diffuse sulla questione climatica. “È proprio questo il punto, ci sono cose che coincidono, certamente. Io – sottolinea Prodi, e lo fa con una punta di amarezza – sono contrario all’estremizzazione tra catastrofisti e negazionisti, che è una cosa assurda”. E allora dove sta il problema, perché è così difficile ritrovarsi su un punto comune? “Le faccio un esempio: se lei pensa che le alluvioni, gli eventi estremi, siano in aumento e per questa ragione decide di alzare il livello degli argini dei fiumi, fa un intervento che comporta certi costi. Se invece decide di investire sulla salvaguardia dell’ambiente intero fa degli altri interventi”, risponde il professore, accusando insomma una visione troppo parziale del problema, troppo appiattita sulla lotta alla CO2. 

 

Qualcuno potrebbe obiettare, dicendo che comunque la questione dei combustibili fossili e delle emissioni non può essere ignorata. “Non lo nego assolutamente, anzi è proprio il mio mestiere quello di vedere come l’attività umana possa influenzare il clima. Ma questo si somma ad altre variabili come le caratteristiche delle stesse nubi o la radiazione solare che arriva sulla superficie terrestre. Ma da qui a quantificare esattamente l’effetto umano, ce ne passa”.  Se ne deduce, dal ragionamento di Prodi, che rinunciare al modello industriale che conosciamo in maniera così drastica non sia necessariamente la soluzione migliore, considerati gli effetti di scelte così radicali, che potrebbero non essere subito assorbite dai sistemi su cui intervengono. Su questo punto, il climatologo fa due tipi di considerazioni, tecniche e sociali-economiche. Da una parte ci sono strumenti ancora non del tutto esplorati nell’abbattimento delle emissioni industriali: “Si pensi agli scrubber per l’abbattimento degli affluenti industriali, che hanno una buona efficacia, agli abbattitori elettrostatici e ai filtri a maniche, che lavorano sulla cattura aerodinamica delle particelle. Ma siamo ancora a un uso un po’ rudimentale di tali conoscenze, c’è spazio per una grande ricerca in questo campo. E anche nella chimica del terreno si possono fare miglioramenti. Dobbiamo sfruttare il progresso e la tecnica”. Dall’altra “c’è il sospetto che le transizioni troppo rapide possano provocare scossoni al sistema economico, con effetti drammatici a livello sociale. Ripeto: va cambiata la strategia generale, ma di questo cambiamento fa parte anche la gradualità. Ci sono delle strade che possono essere percorse, anche quella delle energie rinnovabili (che pure hanno dei costi e dei limiti), ma tenendo sempre conto delle conseguenze di ogni decisione”.


Nel frattempo, sebbene gli ambientalisti più estremi ritengano sempre troppo tenue l’atteggiamento di ogni governo, qualcosa è stato realizzato e altro potrebbe arrivare, in particolare in Europa: il Green deal europeo, le proposte di “Fit for 55” della Commissione, la legge sulla neutralità climatica, oltre alle promesse di un “Fondo sociale per il clima”. Ha ragione Greta Thunberg quando dice che è tutto “bla bla bla”? “Quello che può fare l’Unione Europea è solo dimostrativo, se confrontato all’economia globale. L’Europa deve mettersi alla guida di una trasformazione vera e basata, come ho detto prima, sulla salvaguardia dell’intero ambiente planetario”. In questo senso, Prodi sembra andare anche oltre Greta e Fridays for future: “Mi sembra un po’ assurdo farsi dettare legge da una ragazza che non ha le competenze. Intendiamoci: va benissimo l’attivismo e l’entusiasmo dei giovani, ma andrebbe indirizzato nella direzione giusta, che non è quella appiattita sulla CO2 o sulle frasi fatte”. E quale sarebbe invece? “Intanto, iniziare nelle scuole a studiare la storia del pianeta terra, che darebbe ai più giovani una formazione sulle nostre origini, sul come l’umanità nella sua evoluzione ha interagito con il pianeta. Una preparazione che deve portare anche all’amore e all’interesse per la cosiddetta scienza dura. E’ uno sforzo di conoscenza che richiede grande sacrificio, ma che permette anche di fare critiche più specifiche, di andare oltre gli slogan”.
 

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