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L'ambientalismo finisce nell'aumento delle bollette

Umberto Minopoli

Il prezzo delle materie prime s'impenna, così come quello della CO2. Cresce la domanda e l'offerta non è adeguata: la tempesta perfetta della de-carbonizzazione 

La Federazione dei consumatori l’ha definito “inaudito”, il ministro Cingolani con onestà ha, per primo, sollevato l’allarme e promesso un’azione del governo. Sulle utenze domestiche dei cittadini italiani sta per abbattersi, a ottobre, un rincaro senza precedenti: del 40 per cento della luce e un altro non ancora quantificabile del gas. Andamenti, a memoria, da fasi di inflazione al galoppo. Questi aumenti si sommano a quelli già registrati durante l'ultimo trimestre, quello estivo. La tariffa media annua, per le famiglie, potrebbe avvicinarsi e superare gli 800 euro.

 

Dov’è il dato preoccupante, anche al di là dei numeri, di questi aumenti? E’ nella loro motivazione: non contingente e congiunturale, ma legata a fatti strutturali, di fondo e che accompagneranno, probabilmente, il ciclo economico ed energetico, mondiale ed europeo, per mesi e anni a venire. Gli aumenti dipendono da alcuni fattori determinanti e duraturi: una crescita considerevole del prezzo delle materie prime; la maggiore richiesta di metano legata al caldo estivo, cui non corrisponde un’offerta adeguata di gas naturale; un’insufficiente capacità di offerta delle fonti rinnovabili; i prezzi più elevati dei permessi di emissione della CO2. Che iniziano ad apparire un preoccupante vincolo dei Green Deal sulla ripresa e sulla sicurezza energetica europea. Siamo, insomma, alla “tempesta perfetta” della de-carbonizzazione: la ripresa economica, indissolubilmente legata alla disponibilità di fonti fossili e di gas naturale, è compromessa dall’aumento dei prezzi del combustibile. Che è, ulteriormente, ingigantito dal costo della transizione: i prezzi delle emissioni sotto forma di tariffe della CO2. L’energia rinnovabile non riesce a fare da calmiere. Anzi, il costo degli incentivi alle rinnovabili funziona da zoccolo duro degli aumenti di prezzo dell’energia. E’ un quadro, date le decisioni di politiche climatiche europee, non facilmente modificabile. Vedremo le novità promesse dal ministro Cingolani.

 

Sul futuro dell’energia in Europa pesa una sorta di via crucis: la ripresa economica è condizionata e frenata dai prezzi dell’energia che, a loro volta, sono spinti in su dalle carbon tax. La possibilità di resilienza non è uguale per tutti i sistemi energetici europei. E’ diversa per Francia e Germania rispetto all’Italia, massicciamente dipendente dalle importazioni di fonti fossili. Per noi la dinamica depressiva della “trappola”  è moltiplicata. Il ministro Cingolani ha esplicitato senza infingimenti il problema del Green Deal: la sostenibilità ambientale rischia di entrare in contraddizione con la sostenibilità sociale ed economica. Il pericolo di inflazione, l’impatto delle politiche climatiche sui più fragili, il declino di competitività delle imprese pesano, oscuramente, sulle prospettive della ripresa europea. E non illudiamoci: gli investimenti del Pnrr, purtroppo, non rimuovono il problema. Piuttosto, c’è il rischio opposto: che le tensioni sul mercato dell’energia ne compromettano l’efficacia. E ne pregiudichino l’obiettivo di fondo: concorrere, entro il 2026, a una crescita economica sostenuta.

 

Infine, questa situazione mette in luce diversa la questione del nucleare. Di quello attuale e non solo di quello futuro. Si tratta dell’unica fonte in grado di fornire energia zero carbon  in abbondanza e a prezzi di fornitura programmabili, senza i vincoli di volatilità dei combustibili fossili e della intermittenza delle rinnovabili. E’ difficile immaginare una transizione energetica plausibile senza nemmeno la funzione calmieratrice della quota (17 per cento) di nucleare in Europa. Che, semmai, andrebbe accresciuta.

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