(Ansa)

Un green pass per proteggere l'economia. L'appello di Cna

Sergio Silvestrini*

Compiere ogni sforzo per scongiurare chiusure devastanti, sotto il profilo economico, sociale e psicologico. Senza cedere alle polemiche strumentali e al rischio di una dittatura delle minoranze

Le polemiche intorno all’introduzione del green pass sono il segnale che insieme alla variante Delta si sta diffondendo il pericoloso virus dell’intolleranza. Un ostacolo insidioso che rischia di complicare la costruzione della risposta alla pandemia. Il virus dell’intolleranza non fa distinzioni e alimenta due distinte fazioni. Con un uso disinvolto della libertà di espressione ascoltiamo da giorni riferimenti alle dittature e al nazismo, citazioni di George Orwell per contrastare l’introduzione del green pass. Dall’altro anche autorevoli medici si spingono a proporre che un malato di Covid non vaccinato dovrebbe pagarsi le cure, espressione blasfema rispetto alla grande conquista dell’universalità del diritto di accesso alla sanità.

 

Karl Popper disse che “dovremmo rivendicare, nel nome della tolleranza, il diritto a non tollerare gli intolleranti” e liquidare così la questione. Ma dall’autore della società aperta dovremmo recuperare un prezioso insegnamento: adottare la coerenza e il metodo scientifico verso gli argomenti e non verso le parole. Calarlo nella lotta alla pandemia significa mantenere il timone sulla rotta per tutelare la salute delle persone e salvaguardare le attività produttive e la vita sociale. Alla Cna siamo convinti sulla necessità di compiere ogni sforzo per scongiurare che una nuova ondata di contagi obblighi il paese a rivivere chiusure devastanti, sotto il profilo economico, sociale e psicologico.

 

Grazie ai progressi della campagna vaccinale lo strumento del green pass ci consente una governance attiva rispetto al virus. Non siamo più obbligati a inseguirlo calibrando misure restrittive sull’andamento dei contagi. Con una quota di vaccinati completi superiore al 50 per cento della popolazione siamo entrati nella fase, auspicabilmente non troppo lunga, in cui possiamo e dobbiamo convivere con il Covid.

 

Da un punto di vista sociologico occorre riconoscere che c’è un elemento di rilevante novità. Dall’inizio della pandemia è la prima volta che una misura non è più universale, non vale per tutti allo stesso modo. Il lockdown, il coprifuoco, le misure di contenimento prevedevano deroghe precise ma il costo, in termini economici e di limitazione della libertà, era equamente distribuito. 

 

Il green pass invece introduce la distinzione, che tuttavia non è sinonimo di discriminazione, i costi della libertà di scelta non sono più uguali per tutti. In questa nuova fase contemperare diritti e libertà individuali con quelli collettivi (la libertà di ciascuno finisce dove inizia quella degli altri) diventa un esercizio più delicato ma l’innalzamento delle difficoltà deve rappresentare uno stimolo a costruire strumenti e soluzioni coerenti con l’obiettivo principale di debellare il virus. Il green pass offre un duplice vantaggio: ridurre in modo consistente il rischio di contagio nei luoghi a maggiore densità di persone e a più lunga permanenza, e la possibilità di allentare se non eliminare le misure restrittive che ancora penalizzano un lungo elenco di attività e luoghi (stadi, teatri, cinema, palestre, trasporti collettivi). Un altro beneficio dell’autorizzazione verde è che rappresenta un forte incentivo a vaccinarsi evitando di arrivare all’obbligo universale.

 

Intanto il green pass ha già prodotto un effetto positivo: le scontate e prevedibili fibrillazioni tra le forze politiche sono state compensate da una rinnovata intesa tra lo stato ed i presidenti di regione che condividono l’interesse a non ripiombare nell’emergenza sanitaria che produrrebbe una nuova voragine nei conti pubblici e la congestione di molte strutture ospedaliere.

 

I benefici tuttavia necessitano di alcune condizioni, a partire da un contesto in cui il green pass non sia percepito come uno strumento punitivo nei confronti di coloro che, in modo legittimo, non intendono vaccinarsi. Non deve essere una creatura misteriosa, un ibrido poco comprensibile tra obbligo e raccomandazione. Occorrono chiarezza e coerenza sui criteri, sull’ampiezza del perimetro di applicazione, limitare al massimo gli oneri e le responsabilità a carico degli operatori economici che non possono essere chiamati a garantire funzioni che appartengono alla sfera del servizio pubblico. Sarebbe utile nell’interesse del paese replicare l’esperienza dei protocolli per la sicurezza nei luoghi di lavoro con un tavolo di confronto dove individuare le modalità più efficaci con il pragmatismo degli argomenti, tenendo fuori l’ideologia delle parole.  Invece sembra prevalere il desiderio della prova muscolare da parte di minoranze chiassose.

 

Il sospetto è che le polemiche aspre e le manifestazioni contro il green pass abbiano poco a che vedere con la strategia per sconfiggere la pandemia e con le questioni che riguardano la sfera dei diritti. Da tempo si respira un gusto un po' snob di sentirsi più a proprio agio con una minoranza o forse è ancora troppo fresco il ricordo di come le dittature del secolo scorso abbiano perseguitato le minoranze ma le misure per fronteggiare il Covid hanno riproposto l’interrogativo dell’intellettuale Nassim Taleb nel bestseller del 2008 “Il cigno nero”: c’è il rischio di cedere alla dittatura delle minoranze? Assolutamente sì. Anche i gruppi minoritari possono controllare o distruggere una democrazia se si afferma il principio che il più intollerante vince.

 

Sergio Silvestrini, segretario generale Cna

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