Gli stress test sulle banche e la rotta futura di Unicredit. Parla Angeloni (ex Bce)

Mariarosaria Marchesano

Mps è la peggiore banca europea secondo Eba, mentre superano l'esame Intesa, Unicredit e Mediobanca. Così si creano le condizioni per un risiko italiano e per il consolidamento europeo che la Bce sostiene 

Mps è la peggiore banca europea stando ai risultati degli stress test promossi dall’Eba che hanno dimostrato che nello scenario peggiore di crisi l’istituto senese brucerebbe tutto il Cet1, che è il principale indicatore di solidità patrimoniale. Hanno superato l’esame Intesa, Unicredit e Mediobanca, anche se tutte e tre con un Cet1 di poco inferiore alla media europea del 10 per cento, mentre nettamente più debole è stata la performance di Banco Bpm. Questi risultati sembrano creare condizioni ancora più propizie all’avvio del risiko bancario in Italia che prende sì le mosse dalla necessità di trovare una soluzione alla lunga crisi della banca senese nei tempi concordati con l’Europa, ma risponde anche all’esigenza che hanno alcuni istituti di crescere come dimensione e di rafforzarsi dal punto di vista patrimoniale.

 

Se, da un lato, Andrea Orcel ha posto diversi paletti nell’accordo preliminare con il Mef per l’acquisizione di Mps, dall’altro ha detto che l’operazione, se verrà chiusa nei giusti termini, permetterà a Unicredit di ribilanciare la presenza nel centro-nord Italia (dove si trova il 77 per cento delle filiali del Monte) e che questo “è salutare” per la sua banca. E’ chiaro che Orcel sta accarezzando l’idea di entrare in diretta competizione con Intesa nell’area più ricca del paese dove, dopo l’operazione con Ubi, è leader indiscussa. Ma è prematuro dire se questa scelta strategica può portare ad allungare la presa anche su Banco Bpm, anch’essa da tempo in cerca di un partner, perché l’integrazione con Siena potrebbe avere tempi medio-lunghi. Molto dipenderà anche da come si evolveranno i rapporti (per ora freddi) tra la banca milanese e Bper-Unipol, che nel frattempo ha avviato una scalata alla Popolare di Sondrio con l’idea di creare un polo nel centro-nord tra realtà di piccole-medie dimensioni. Insomma, c’è da aspettarsi di tutto dal risiko dell’era draghiana, che sta creando molte attese e incontrando il favore della Borsa. Quando si parla di consolidamento, però, si tiene conto più delle necessità degli operatori bancari, quindi dell’offerta di credito, e meno di quelle della clientela, cioè della domanda.

 

Un recente studio dell’Università Luiss ha dimostrato che il livello di concentrazione delle banche in Italia è già molto elevato se paragonato a paesi europei affini. Il suo autore, Mario Comana, ordinario di economia degli intermediari finanziari, spiega al Foglio che a fine 2019 le prime cinque banche detenevano il 48 per cento delle quote di mercato, come in Francia. Dopo l’operazione Intesa-Ubi e Credit Agricole-Creval, tale percentuale è salita al 57 per cento e con il deal Mps-Unicredit aumenterebbe al 61 per cento, tredici punti più della Francia e il doppio della Germania (solo la Spagna ha una concentrazione più elevata, 67 per cento): “Siamo di fronte alla prospettiva che i due terzi del mercato del credito del nostro paese sarà concentrato nelle mani di un gruppo ristretto di soggetti e questo ha delle implicazioni per imprese e famiglie che potranno godere di una concorrenza minore”. Comana non è ideologicamente contrario alle concentrazioni, ma dice che dovrebbero essere “giocate su un piano più internazionale e non solo in ambito domestico”. In realtà, il risiko italiano è vissuto anche come la prova generale di una stagione di consolidamento a livello europeo, secondo un orientamento caldeggiato dalla Bce per affrontare il previsto aumento dei crediti deteriorati. Ma se nel suo insieme lo stato di salute del sistema bancario dell’Eurozona è buono, come dice l’Eba, perché spingere verso le fusioni? “Questa necessità – dice al Foglio Ignazio Angeloni, ex componente del consiglio di vigilanza della Bce – in alcuni paesi come Italia e Germania non dipende solo dai risultati degli stress test. Un settore bancario frammentato è meno in grado di sfruttare sinergie di scala e di scopo e di fare gli investimenti necessari specialmente nel campo dell’innovazione tecnologica che oggi è molto importante. Inoltre, è necessario che in Europa si affermino alcuni grandi gruppi in grado di competere e sostenere le imprese su scala globale. Tutto questo richiede ulteriore concentrazione, non ovunque, ma in alcuni comparti e paesi”. Angeloni, tra l’altro, avverte che gli stress test difficilmente possono rivelare le reali condizioni del sistema perché hanno un largo margine di incertezza. “Quest’esame ci dirà quali sono le integrazioni di capitale che la vigilanza ritiene necessarie, ma non la reale situazione del sistema. Quella la conosceremo tra uno-due anni”.
 

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