La sede centrale delle Generali a Trieste (LaPresse) 

dove va il risiko

Le traiettorie parallele di Caltagirone e Del Vecchio puntano a un nuovo show in Generali

Mariarosaria Marchesano

Nella recente storia bancaria italiana è difficile trovare traccia di ascese così vistose e allo stesso tempo prive di una strategia finalizzata direttamente al comando

Chi ha memoria storica dei fatti finanziari e bancari italiani fa fatica a ricordare un caso come quello di Caltagirone-Del Vecchio in Mediobanca. Nella recente storia bancaria italiana è difficile trovare traccia di ascese così vistose e allo stesso tempo prive di una strategia finalizzata direttamente al comando. La notizia che Caltagirone abbia un’opzione per superare la soglia del 5 per cento in Mediobanca, diventando il secondo socio dopo Del Vecchio e con la possibilità di salire ancora nei prossimi mesi, e i rumor sul fatto che il fondatore di Luxottica è pronto a chiedere alla Bce di andare oltre il 20 per cento, stanno tornando ad alimentare l’ipotesi di una scalata indirettamente finalizzata alla presa del gruppo Generali di cui l’istituto guidato da Alberto Nagel detiene il 13 per cento e di cui Del Vecchio e Caltagirone sono grandi azionisti.

  

Secondo alcuni osservatori, i due imprenditori sono decisi ad assumere un ruolo più attivo nella definizione del board di Generali guidato dal francese Philippe Donnet e per questo motivo, pur agendo indipendentemente l’uno dall’altro, hanno finito per dar vita a una sorta di minoranza di blocco in Mediobanca, in grado cioè di ostacolare eventuali operazioni straordinarie che necessitano del voto favorevole del 67 per cento del capitale.

     

Secondo altri, invece, Del Vecchio e Caltagirone sono già una sorta di “minoranza di controllo” più che di blocco nella merchant bank perché insieme possiedono un quarto del capitale di Piazzetta Cuccia con la possibilità di crescere in una compagine che vede progressivamente perdere peso all’attuale patto di consultazione dei soci storici.

 

Per quanto Del Vecchio si sia impegnato con la vigilanza della Bce a essere solo un investitore finanziario e Caltagirone abbia fatto sapere che la sua volontà è solo quella di ricostituire il portafoglio di partecipazioni bancarie come da tradizione del gruppo, è plausibile che investimenti per centinaia di milioni di euro vengano realizzati anche con l'intenzione di poter influire sulle scelte strategiche di Mediobanca che si prepara a decidere i nuovi vertici del Leone nel 2022. E qui sta il punto.

 

Lo statuto di Generali ha da poco accolto la possibilità che il cda uscente rediga una propria lista di amministratori, e questo era l’auspicio di Mediobanca che già adotta questo metodo apprezzato dagli investitori del mercato e tipico delle public companies. Ma questa lista potrebbe avere difficoltà a nascere perché Del Vecchio e Caltagirone a quanto pare aspirano a una guida più dinamica della compagnia e più proiettata a rafforzarsi nel panorama europeo magari con una grande acquisizione.

 

La domanda, però, che tutti si fanno è perché Del Vecchio, quando ne ha avuto la possibilità con il rinnovo dell’ultimo consiglio di amministrazione, non sia entrato direttamente nella stanza dei bottoni di Mediobanca che del Leone è il socio di controllo. Una questione di fair play, forse, anche se non si capisce il motivo, visto che Nagel è la stessa persona che tre anni fa si mostrò riluttante verso il progetto del polo della salute a Milano a cui Del Vecchio tanto teneva. La decisione di rimanere dietro le quinte rafforza l’ipotesi che Piazzetta Cuccia rappresenti per l’imprenditore di Agordo una tappa intermedia verso Trieste il che si traduce nell’avere un interesse comune con Caltagirone che contro la guida di Donnet in Generali sta conducendo una battaglia aperta. Convergenze che saranno messe alla prova tra pochi mesi quando a Trieste si decideranno i nuovi vertici e Caltagirone, come vocifera qualcuno, potrebbe mostrare l’ambizione a sedere su una poltrona importante.