Mr Bain ci dice perché sul green l'Italia ha guai da 3 mila miliardi

Mariarosaria Marchesano

"Ambire alla decarbonizzazione è corretto, ma in Italia scontiamo gap infrastrutturali, materiali e immateriali, che potrebbero mettere fortemente a rischio il raggiungimento degli obiettivi fissati dalla Commissione europea", dice Alessandro Cadei 

“La transizione verso un’economia a emissioni zero nel 2050 può richiedere investimenti in Italia per 3 mila miliardi di euro”. E’ la previsione fatta dalla società di consulenza strategica Bain&C. che appare come un bagno di realtà in una fase in cui l’euforia per il Green deal europeo potrebbe far perdere di vista la concretezza dei numeri. Poco si sente parlare, infatti, dei costi e degli investimenti necessari per raggiungere gli obiettivi fissati dalla Commissione presieduta da Ursula von der Leyen che qualche giorno fa ha approvato il primo pacchetto di misure per cominciare a ridurre del 55 per cento le emissioni inquinanti entro il 2030. E che problema c’è, si potrebbe pensare. L’Italia è il principale paese beneficiario del Pnrr con 200 miliardi di euro. Ma basteranno? Ecco che arriva Bain con la sua previsione realistica:  i 200 miliardi di euro del Pnrr sono un punto di partenza molto importante – questo il ragionamento – ma la transizione verso un’economia a zero emissioni può richiedere volumi di investimento ben più  ingenti che non possono essere sostenuti senza un nuovo approccio collaborativo e coordinato pubblico-privato, che coinvolga istituzioni, operatori industriali e stakeholder finanziari.

 

Certo, anche immaginando che i soldi del Pnrr potessero non essere sufficienti per fare un’Italia green, fa una certa impressione sapere che quella che serve è una cifra enormemente più alta. E approssimata per difetto. “In questa stima non abbiamo calcolato i costi per realizzare infrastrutture di rete per la distribuzione di energie alternative, altrimenti l’investimento necessario sarebbe ben più alto di 3 mila miliardi  – dice al Foglio Alessandro Cadei, responsabile del settore energia e utility di Bain per l’area Emea –  Ambire alla decarbonizzazione è corretto, ma in Italia scontiamo gap infrastrutturali, materiali e immateriali, che potrebbero mettere fortemente a rischio il raggiungimento degli obiettivi fissati dalla Commissione europea”. Secondo Cadei, bisogna distinguere due orizzonti temporali, quello al 2030, termine entro il quale occorre raggiungere un obiettivo parziale di disinquinamento, e quello al 2050 che rappresenta l’anno zero dell’economia pulita. L’Italia è sulla buona strada per l’eliminazione delle centrali a carbone e nella produzione di energie da fonti rinnovabili, più di altri paesi europei, e per questo motivo, dice Cadei, può avvicinarsi all’obiettivo del 2030, ma molto più complicato sarà raggiungere l’azzeramento delle emissioni tra trent’anni. “Questo percorso deve per forza di cose essere guidato da un sistema di autorizzazioni e di permessi molto più semplice e veloce rispetto a quello attuale. E’ un tema che si incrocia con quello della digitalizzazione della Pa e diventa centrale quando si vogliono creare le condizioni per far sì che gli operatori privati investano nella transizione energetica accanto a quelli pubblici. Il discorso è molto semplice: più si garantiranno iter certi e veloci per le operazioni di investimento su un orizzonte di almeno 15-20 anni più i privati saranno disposti ad abbassare le attese di rendimento e minore sarà il costo finale della transizione”.

 

Insomma, per dirla con un’espressione anche un po’ abusata, l’Italia deve fare sistema per stare dentro al green deal europeo che per l’esperto di Bain si traduce nel creare “un sistema scalabile”, vale a dire un metodo di lavoro coordinato che vada oltre i singoli progetti e metta insieme le istituzioni pubbliche con il mondo finanziario. “Anche perché ci sono settori come quello dei trasporti e del residenziale che avrebbero bisogno di accelerare fortemente in tema di efficienza energetica. Per non parlare dell’industria pesante che è solo all’inizio. Insomma, bisogna passare dai piani alle azioni per realizzare davvero la transizione ecologica nel nostro paese puntando alla semplificazione del contesto regolatorio e di mercato ma anche alle tecnologie per la produzione di rinnovabili che in Italia non sono ancora competitive e mature”.
 

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