inflazione, welcome

Perché l'aumento dei prezzi può sostenere il pil dell'Italia. Parla Poma (Nomisma)

Mariarosaria Marchesano

"Un ritorno dell’inflazione è un segnale positivo, se si mantiene entro il target del 2 per cento o anche un mezzo punto più alto". Ma per far sì che del decollo benefici una larga parte delle imprese e della popolazione è indispensabile sciogliere tre nodi

“Ben venga un ritorno dell’inflazione in Italia. È un segnale positivo che non deve assolutamente spaventare. Se uniamo, infatti, le performance delle nostre imprese con una ripresa dell’inflazione vediamo che si stanno creando le condizioni ottimali per il decollo del paese trainato dalla manifattura”. Lucio Poma, professore di Economia all’Università di Ferrara e responsabile scientifico di Nomisma, non comprende tutto questo allarmismo per l’aumento dei prezzi che in Europa si mantiene ancora largamente al di sotto dei limiti consentiti e negli Stati Uniti ha cominciato a correre un po’ di più ma anche lì non è ancora a livelli preoccupanti.

 

 

Ad essere allarmati sono soprattutto i mercati finanziari perché temono che la Federal Reserve possa ritirare prima del previsto gli stimoli monetari e che la Bce poi possa seguirla a ruota. Ma questa prospettiva, che sarebbe anche abbastanza normale dopo anni di tassi a zero, appare davvero prematura in assenza di dati che indichino una ripresa solida in Europa. Così quello delle Borse appare più come una crisi di nervi dopo mesi di crescita senza sosta e il fatto che ieri abbiano invertito la rotta sulla scia di Wall Street dopo una partenza disastrosa ne è la dimostrazione. “E poi – dice Poma al Foglio – Sono anni che l’Unione europea non riesce a far ripartire l’inflazione per raggiungere il target del due per cento. In particolare, l’Italia da maggio 2020 fino alla fine dell’anno ha navigato in deflazione: i consumi non ripartivano a causa dell’incertezza causata dalla pandemia e il prezzo delle materie prime era crollato. Una situazione come questa è assai più pericolosa dell’inflazione come dimostra l’esperienza del Giappone che da più di dieci anni si trova in una specie di trappola. Dunque, un ritorno dell’inflazione è un segnale positivo, se si mantiene entro il target del 2 per cento o anche un mezzo punto più alto, anche perché stiamo vedendo che è determinato soprattutto dall’aumento del prezzo del rame che rappresenta la materia prima più utilizzata nel nostro sistema manifatturiero”.

 

È da qui che è cominciata la ripresa post Covid. Dalle previsioni di primavera della Commissione europea è emerso, infatti, che le stime di crescita del pil italiano per il 2021 (più 4,2 per cento) sono in linea con la media dei paesi dell’Unione e superiori a quelle della Germania (più 3,5 per cento). Questo risultato, come ha sottolineato anche il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, è dovuto alle imprese manifatturiere che sono riuscite a preservare le quote di mercato. “È vero che l’Italia riparte da una recessione più profonda rispetto alla Germania, ma la notizia non può che fare piacere alle imprese italiane oltre che infondere nuova fiducia”, aggiunge Poma secondo il quale il sorpasso sulla manifattura tedesca è dovuto soprattutto ad aziende che lui chiama “controvento” (l’Istat le definisce “proattive” o “avanzate”) perché continuano a crescere e a trainare con sé parte importante delle filiere di cui spesso sono le capofila. Si tratta soprattutto di realtà dei settori farmaceutico e del packacing, ma in parte anche della cosmesi e dell’alimentare.

 

Tuttavia, la ripresa dell’Italia non sta assumendo né la classica forma a “U” né quella a “V” tipica dei rimbalzi, ma le sembianze di una “K” e questo perché le diseguaglianze sono in rapido aumento. Secondo il capo economista di Nomisma, per far sì che del decollo benefici una larga parte delle imprese e della popolazione è indispensabile sciogliere tre nodi.

 

Il primo è interno alla manifattura. E necessario che la parte “alta”, rappresentato dalle aziende “controvento”, riesca a coinvolgere nella ripresa anche gli anelli più distanti della filiera. “Abbiamo una locomotiva strepitosa, dobbiamo attaccarci più vagoni possibili e per farlo sarebbe preferibile destinare gli incentivi pubblici proprio agli operatori più forti chiedendo come contropartita un gioco di squadra con quelli meno dinamici”. Il secondo nodo è rappresentato dal settore terziario che ha pagato il prezzo più alto della pandemia. “Bisogna che la crescita del secondario riesca a coinvolgere in maniera più serrata quella del terziario, e questo ci conduce all’ultimo nodo. Oggi si produce conoscenza e nella produzione di conoscenza la demarcazione tra secondario e terziario viene a cadere anche grazie alla rivoluzione generata da Industria 4.0. Utilizzare questo decollo per cercare rotte nuove, per esplorare nuovi prodotti e nuovi modi di produrli. Alle imprese del nostro paese la fantasia ed il coraggio non mancano”.
 

Di più su questi argomenti: