Foto Claudio Furlan - LaPresse

Carige, fermi tutti

Mariarosaria Marchesano

Come le mancate nozze della banca genovese ridisegnano il risiko bancario italiano

Per i più attenti osservatori del mondo del credito cooperativo non è una sorpresa, ma il ripensamento di Cassa Centrale Banca su Carige è a tutti gli effetti un fulmine a ciel sereno in un panorama bancario in cui il salvataggio dell’istituto ligure veniva dato per assodato. Praticamente, è come se in un matrimonio la sposa o lo sposo scappassero dall’altare al momento del sì. Tanto più che il gruppo creditizio di Trento presieduto da Giorgio Fracalossi e amministrato da Mario Sartori ha investito complessivamente 163 milioni di euro in Carige, in parte per sottoscrivere obbligazioni subordinate e in parte per diventare socio (8,3 per cento) con la facoltà di assumere il controllo entro il 2021. Più di una promessa di nozze, dunque. Perché allora c’è la possibilità che faccia un passo indietro? Vestire i panni del cavaliere bianco può essere faticoso per un gruppo costituito da un’ottantina di piccole realtà locali di credito cooperativo che non sempre si sentono in sintonia con il centro decisionale che ha sede a Trento.

 

Il consiglio di amministrazione che si è svolto ieri sera ha affrontato proprio questo bivio: spendere altri 280-300 milioni di euro per prendere il controllo (favorendo così l’uscita del Fondo interbancario per la tutela dei depositi) o rinunciare a fare il salto nel mondo delle grandi banche? Il salvataggio di Carige, avvenuto sotto la stretta sorveglianza della Bce e della Banca d’Italia, non è mai stato veramente considerato come un’opportunità da una parte della base di Cassa centrale banca. E un giurista esperto di questo mondo come Marco Sepe (Università Luiss e Unitelma Sapienza) ha più volte evidenziato il rischio di “ibridizzazione” del gruppo bancario trentino. Sepe, che nel 1996 è stato membro della commissione Draghi che ha modificato il Tuf (Testo unico della finanza), spiega al Foglio che queste perplessità nascono a causa della natura profondamente diversa di due realtà come Carige e Cassa Centrale Banca, la prima una spa a tutti gli effetti e la seconda – nata dopo la legge di riforma del 2016 – che ha conservato il modello mutualistico pur dandosi una governance centralizzata.

 

Le banche di credito cooperativo aspirano ad avere autonomia gestionale e talvolta soffrono il rapporto con la capogruppo che prende le decisioni – dice Sepe al Foglio – E’ possibile che nel caso di Cassa centrale banca si sia fatto largo il dubbio su come affrontare un eventuale nuovo fabbisogno di capitale di Carige, possibilità non prevista per quest’anno ma probabile per il futuro”. Questo spiegherebbe perché a Trento spingono per rivedere gli accordi del 2019 anche alla luce degli effetti della pandemia sul bilancio di Carige (perdita di 250 milioni nel 2020) ma non spiegherebbe il clima di insofferenza che accompagna tutta l’operazione. “Anche nell’ipotesi in cui Ccb ottenesse le migliori condizioni per assumere il controllo della banca ligure, per esempio con la cessione al prezzo di 1 euro, ci sarebbe comunque uno stravolgimento della natura del gruppo bancario con il rischio che il principio di mutualità venga sopraffatto. Questa prospettiva credo spaventi un po’ la base”.

 

Comunque sia, l’evoluzione inattesa del salvataggio di Carige avrà effetti a livello del sistema bancario. Secondo Francesco Capriglione (ex Banca d’Italia e Università Luiss), se Ccb dovesse rinunciare all’operazione questo metterebbe in discussione il ruolo nei salvataggi svolto dal Fondo interbancario che è stato riconosciuto di recente anche dalla Corte di Giustizia europea. “Il Fondo è intervenuto in diverse situazioni negli ultimi anni ma con Carige e Banca Popolare di Bari ha affrontato un enorme sforzo finanziario – dice Capriglione – facendo sostanzialmente da sponda alla Banca d’Italia per evitare di far deflagare situazioni di crisi. E questo è un bene, ma adesso questo ruolo viene messo alla prova. Se Trento dovesse rinunciare alla partita, il Fitd si troverebbe nelle condizioni di cercare un compratore, operazione che come abbiamo già visto non è semplice”. Per Capriglione aver individuato in un soggetto come Cassa centrale banca il partner per Carige è stata forse “una mossa un po’ azzardata considerato che il gruppo di Trento è di recente costituzione e pertanto non è stato in grado di valutare le conseguenze di un passo aggregativo così lontano dal proprio mondo”. In effetti, non è escluso, che dietro il ripensamento di Trento ci sia qualche avance di Iccrea, l’altro gruppo di credito cooperativo nato con la legge di riforma. Molto più vicino a Trento, ma molto più cauto nell’avvicinarsi al mondo delle banche tradizionali.

 

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