Anche in Italia c'è qualche motivo per essere orgogliosi. Non va tutto male

Nicoletta Tiliacos

Investire sulla valorizzazione si può. Esempi virtuosi

Non è facile, nel periodo complicato che stiamo attraversando, concentrarsi su quello che in Italia, silenziosamente ma tenacemente, va per il verso giusto. Non è facile, ma è necessario, perché alzare gli occhi da terra è l’unico modo per vedere la strada davanti a sé. Mercoledì scorso, sul Foglio, Marco Fortis ha messo in fila alcuni buoni motivi per rivendicare quell’orgoglio italiano evocato nel discorso programmatico di Mario Draghi come il grande dimenticato nell’autopercezione nazionale. 

  
Tra chi lavora da parecchio tempo a questa operazione di consapevolezza e valorizzazione, al punto di averne fatto la propria ragione sociale, c’è la Fondazione Symbola per le qualità italiane. Se il perdono per chi non sa quello che fa è evangelicamente garantito, ben più imperdonabile appare oggi chi non sa quello che ha. Symbola, con i suoi rapporti periodici e il suo lavoro di messa in rete delle esperienze nazionali d’avanguardia all’insegna della triade “sostenibilità, innovazione, bellezza”, ci mette davanti agli occhi proprio ciò che abbiamo e non conosciamo abbastanza. Punti di forza del marchio Italia che, ora più che mai, appaiono in perfetta sintonia con le linee tracciate nel Next Generation Eu, e che ritroviamo anche nell’ultimo rapporto, presentato lo scorso 3 marzo dalla fondazione, in collaborazione con Fassa Bortolo (sistemi integrati per l’edilizia) e con la partnership tecnica di Assorestauro. S’intitola “100 italian architectural conservation stories” (consultabile su Symbola.net) e racconta i risultati, la competenza e la capacità di progettazione e innovazione di cui danno prova aziende, centri di ricerca e istituzioni pubbliche e private del nostro paese nel campo del recupero e del restauro architettonico del patrimonio storico. 

 
Fare di necessità virtù, nel paese con il patrimonio storico più vasto e importante del mondo, vera base dell’identità nazionale – e per questo da sempre alle prese con problemi di conservazione, recupero e integrazione del nuovo con l’antico e l’antichissimo – ha comportato la crescita di eccellenze e di esperienze originali che coprono l’intero processo di recupero e restauro dei beni architettonici. Forti di una scuola di pensiero davvero unica al mondo – i cui numi tutelari portano i nomi di Cesare Brandi, Giulio Carlo Argan, Giovanni Urbani – possiamo contare su esperienze avanzate nel campi della  ricerca e messa a punto di materiali e tecnologie, della progettazione, della diagnostica, della certificazione, e infine dell’intervento concreto di recupero, un bene altamente esportabile ed esportato in tutto il mondo. 

 
Qualche esempio. L’Enea, ente pubblico di ricerca italiano che opera nei settori dell’energia, dell’ambiente e delle nuove tecnologie, è leader nel mondo per i sistemi che permettono diagnosi su grandi opere senza l’utilizzo di impalcature, e che derivano parte della loro tecnologia dalle diagnostiche da remoto sviluppate in ambito nucleare. Nel 2020, in piena pandemia, il più importante riconoscimento europeo in materia di recupero, l’European Heritage Award, è andato all’intervento sulla basilica di Santa Maria di Collemaggio, semidistrutta durante il terremoto dell’Aquila. “Un cantiere – leggiamo nel rapporto di Symbola – il cui valore risiede nelle tecnologie innovative impiegate e nell’aver tenuta aperta e in sicurezza, per tutta la durata dei lavori, la fruizione della basilica”. Nonostante la sua complessità, in due anni (dal gennaio 2016 al dicembre 2017) il restauro è stato completato, con il coordinamento della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio dell’Aquila, allora diretta da Alessandra Vittorini, la collaborazione del Politecnico di Milano, della Sapienza di Roma e dell’Università dell’Aquila, e il lavoro di geologi e ingegneri dell’Eni, che ha sostenuto i costi dell’opera.


Tutto questo ci dice che in Italia, quando le cose funzionano alla grande, è perché pubblico e privato, cultura vera e innovazione si mettono attorno a un tavolo e collaborano. Un metodo e una messa in campo di competenze che sono decisivi anche per quanto riguarda il più grande cantiere di restauro d’Europa, vale a dire l’Appennino colpito dai terremoti del 2016 e del 2017, che si sono aggiunti al cratere dell’Aquila 2009. Nell’ultimo anno, anche lì si sono andate delineando le caratteristiche di un metodo di lavoro che sta dando risultati. Una sorta di “metodo Draghi” ante litteram, che nel cratere appenninico è da qualche tempo realtà, anche grazie a soggetti che, come la Fondazione Symbola, investono sul lavoro di mediazione e di messa in comunicazione delle esperienze. Il commissario straordinario al sisma in carica da un anno, Giovanni Legnini, è del Pd, i presidenti di regione appartengono al centrodestra, a parte il laziale Zingaretti, sindaci e amministratori locali sono di ogni parte politica. Ma tutti insieme, ed è un mezzo miracolo, stanno dando prova di grande capacità di collaborazione, finalmente più concentrati sulle cose da fare (ancora tante) che non su quelle da rinfacciare agli avversari. Qualcosa che dovrebbe uscire dalla categoria dei miracoli, mezzi o interi, e diventare routine. 

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