Riformare l'Irpef può sbloccare l'Italia meglio di ogni bonus e flat tax

Enrico Zanetti

Reimpiegare le risorse per ridurre del cuneo contributivo: è fattibile, ma forse anche irrealizzabile

A chi ritiene che il ridisegno dell’Irpef costituisca un “vasto programma” andrebbe ribattuto che costituisce semmai un’aspirazione incompleta. Tra un regime sostitutivo per i redditi di capitale e una cedolare secca per i redditi immobiliari, l’Irpef è ormai un’imposta che interessa essenzialmente i redditi di lavoro presenti (lavoro dipendente, lavoro autonomo svolto in forma individuale o associata, attività di impresa svolta in forma individuale o collettiva) e differiti (pensioni).

  

 

Voler ridisegnare l’Irpef significa dunque porsi essenzialmente il tema di ridisegnare il prelievo sui redditi di lavoro e ciò implica a sua volta la necessità di tenere conto anche del prelievo contributivo e di come esso, insieme con quello prettamente fiscale, determina il reddito netto effettivamente disponibile per il contribuente una volta pagate tasse e contributi. Gli interventi parziali, settoriali e indubbiamente incompleti di questi ultimi anni sono la riprova che questo è il tema di fondo. Se confrontiamo il reddito netto disponibile delle diverse tipologie di lavoratori (dipendenti, pensionati, autonomi senza flat tax e autonomi con flat tax), avremo chiaro che il bonus “80 euro” (a breve “100 euro”), ben lungi dall’essere discriminatorio nei confronti dei pensionati, ripristina una sostanziale equivalenza di reddito netto disponibile, a parità di salari e pensioni lorde, tra dipendenti e pensionati. A essere discriminati sono semmai gli autonomi, per i quali la famosa flat tax costituisce una risposta tutt’altro che scandalosa in termini di rapporto con dipendenti e pensionati (perché riduce la sperequazione esistente in termini di reddito netto disponibile a favore di questi ultimi, piuttosto che crearne di nuova a favore degli autonomi), ma assolutamente inefficace per gli autonomi con redditi inferiori a 30 mila euro. Il ridisegno dell’Irpef implica quindi, quale ineludibile premessa, una chiara collocazione delle copiose risorse stanziate in questi anni tra bonus e flat tax in una rimodulazione degli interventi in vere e proprie “no contribution area” per i redditi di lavoro dipendente e autonomo medio bassi.

 

 

Fatta questa necessaria chiarezza e pulizia, ecco che allora si può seriamente procedere a un ridisegno dell’Irpef nel segno di una equità nel prelievo tra diverse categorie di contribuenti e possibilmente nel segno di una progressività meno feroce nei confronti dei redditi compresi tra 28 mila e 75 mila euro. Benissimo formalizzare in modo razionale e trasparente ampie “no tax area” (che comunque già esistono, se è vero come è vero che circa 10 milioni di contribuenti su 40 hanno un’Irpef netta pari a zero, una volte scomputate tutte le detrazioni), ma l’attenzione principale va dedicata all’allungamento della curva della progressività Irpef di modo tale da avere una progressività che distingua veramente tra redditi bassi, medio-bassi, medio-alti alti e altissimi.

 

Oggi con una curva Irpef da zero a 43 per cento che a 50 mila euro già raggiunge il 31 per cento, è evidente che l’Irpef è iper progressiva nel passaggio tra redditi bassi e redditi medi e ipo progressiva nel passaggio tra redditi medi e redditi alti.

 

Se l’idea è ridurre le aliquote, certamente è dall’eliminazione di quella del 38 per cento che si deve partire, ma rimane un fatto: il vero problema non sono le aliquote (che possono anche essere 10 senza per questo rendere più complicato il sistema di quanto non lo sia oggi con 5 aliquote e detrazioni decrescenti all’aumentare del reddito), bensì gli scaglioni. Non c’è nulla di scandaloso di per sé in una aliquota del 38 per cento, ma è scandaloso pretendere di applicarla su ogni euro di reddito che supera 28 mila euro lordi. In sintesi, l’operazione che andrebbe fatta dovrebbe riguardare un reimpiego delle risorse oggi destinate a bonus e flat tax in riduzioni del cuneo contributivo lato lavoratori dipendenti e autonomi; un allungamento della curva della progressività certamente attraverso interventi sulle aliquote, ma prima ancora sugli scaglioni di reddito, con la priorità dichiarata di ridurre l’attuale ripidissima salita tra 28 mila e 75 mila euro; un assorbimento delle detrazioni maggiori direttamente nella curva della progressività e una eliminazione delle detrazioni minori. Assolutamente fattibile, probabilmente irrealizzabile.

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