La politica e tutti i falsi amici dei giovani: storia di una generazione presa letteralmente per il culto

Claudio Cerasa

C’è un’Italia indifferente di fronte a una politica che giocando con le pensioni gioca a ipotecare il nostro futuro. Appello al paese incapace di reagire alle irresponsabilità previdenziali con la stessa forza con cui si ribella contro il pianeta inquinato. Sveglia

C’è qualcuno o no in Italia che ha il coraggio di dire che la classe dirigente del nostro paese sta prendendo le nuove generazioni letteralmente per il culto? Capita sempre più spesso ormai di assistere ad ampi blocchi dei talk-show monopolizzati in qualsiasi momento dell’anno da dotte discussioni relative al futuro dei pensionati, ai loro problemi, ai loro guai, alle ingiustizie subite e ai torti periodicamente ricevuti dai governi in carica. Non c’è settimana in cui un qualche importante programma in prima serata non dedichi ampio spazio al tema dei pensionati maltrattati e non c’è settimana in cui la politica non cerchi in qualche modo di non creare malessere tra coloro che si trovano in una fase della vita o immediatamente precedente o immediatamente successiva a quella della pensione. In Italia le pensioni che vengono erogate ogni anno sono molte, nel 2019 hanno toccato quota 17,8 milioni, e una politica che deve occuparsi di consenso è comprensibile che dedichi grande attenzione a quello che numeri alla mano rappresenta un terzo del corpo elettorale del paese. Eppure di fronte a ogni discussione sul tema delle pensioni ciò che risulta incredibilmente assente all’interno del dibattito pubblico è una posizione che in un paese come l’Italia può risultare forse poco popolare ma senza la quale un paese come l’Italia non può occuparsi di futuro e rischia molto semplicemente di finire a scatafascio.

 

E la posizione assente nel dibattito pubblico è quella rappresentata da quel pezzo di paese che ogni volta che la politica lavora per abbassare l’età pensionabile non ha la forza o il coraggio di ammettere che ogni intervento al ribasso sulle pensioni corrisponde a una piccola ipoteca sul futuro delle nuove generazioni.

    


Ridurre il debito ambientale, se così vogliamo chiamarlo, è un tema importante, rispetto alla tutela del nostro futuro, ma mai come in questo momento l’Italia avrebbe bisogno di una Greta disposta a smuovere le coscienze delle nuove generazioni su un debito non meno importante: quello previdenziale. Più alla politica verrà concesso di spendere più soldi per le pensioni e più la politica farà un passo per prendere per il culto un pezzo non irrilevante del paese


 

La generazione presa per il culto – ingannata cioè per una dottrina politica farlocca spacciata per religione intoccabile – incapace di ribellarsi su questi temi con la stessa forza con cui si ribella per esempio per il pianeta inquinato è quella che osserva con indifferenza una politica che ciclicamente discute su come spendere più soldi per abbassare l’età pensionabile e per far aumentare di conseguenza un debito pubblico che andrà a ricadere sulle spalle di chi per molto tempo si ritroverà ad avere salari molto bassi anche a causa delle tasse alte che andranno pagate per finanziare una spesa pubblica che anno dopo anno viene destinata sempre più alle pensioni e sempre meno alla famiglia.

 

 

Siamo il paese, ha ricordato Antonio Golini nel suo libro scritto con Marco Valerio Lo Prete per la casa editrice della Luiss, con la più alta spesa pensionistica d’Europa e allo stesso tempo quello che dedica minori risorse alle politiche attive del lavoro. Siamo il paese in cui è diffusa l’idea che è tra gli anziani che si trovano le vittime più colpite della decennale crisi economica e invece tutte le statistiche indicano nei giovani e giovanissimi i più vessati da povertà materiale, insicurezza finanziaria, incertezza di prospettive. E siamo infine il paese in cui i giovani se ne fottono di questi dati e tendono a votare a favore di partiti intenzionati con le loro politiche ad aggredire il loro stesso futuro – partiti specializzati ad alimentare piuttosto che a stemperare guerre generazionali come quelle innescate da una misura come quota 100, promossa dal vecchio governo anche con la scusa di essere stata ideata in modo tale da creare una “virtuosissima staffetta generazionale” (il governo gialloverde aveva promesso che sarebbero stati assunti tre giovani per ogni lavoratore andato in pensione e ovviamente nulla di tutto questo è accaduto).

 

 

Siamo, noi millennial insieme a tutte le altre generazioni X, Z e così via, una generazione presa per il culto per le ragioni ben spiegate la scorsa settimana da Luciano Capone sul Foglio, che ha messo insieme un paio di dati appena sfornati dall’Istat utili a mettere a fuoco la codificazione di una grande balla comunicativa: l’idea che la grande emergenza italiana sia legata alle ingiustizie subite da chi si avvicina al mondo delle pensioni. I numeri sono impressionanti. Punto numero uno: dal 2000 a oggi l’importo medio delle prestazioni pensionistiche è aumentato del 70 per cento, con una dinamica più marcata rispetto a quella registrata dalle retribuzioni medie degli occupati dipendenti. Rispetto al 2000, le retribuzioni sono aumentate del 35 per cento.

  

In altre parole: durante gli anni della crisi chi ha sofferto di più non sono i pensionati, ovvero coloro che non lavorano, ma sono coloro che lavorano, in particolare i giovani su cui è scaricato il peso della spesa previdenziale sempre più alta (spesa che nel 2018 è aumentata del 2,2 per cento, raggiungendo il livello più alto dei paesi Ocse dopo la Grecia, con il 16,6 per cento del pil).

 

Punto numero due: negli ultimi 20 anni, i dati stavolta sono di Bankitalia, per gli over 64 il reddito e la ricchezza medi sono aumentati del 15 e del 60 per cento, mentre per gli under 34 sono scesi rispettivamente del 10 e del 60 per cento e secondo l’Istat il rischio di povertà delle famiglie con pensionati è di 8 punti percentuali inferiore a quello delle altre famiglie (per non parlare del fatto che di questo passo nel 2045 ogni 100 occupati ci saranno 100 pensionati). L’Italia – come documenta sul Foglio di oggi anche Lorenzo Borga, lo trovate nell’inserto numero IV – è ostaggio di una grande truffa di fronte alla quale la generazione più colpita da questa truffa sembra essere incapace di reagire.

 

Greta Thunberg, in mezzo a mille sciocchezze ideologiche teorizzate, ha avuto il merito di smuovere le coscienze dei più giovani intorno al tema del debito ambientale, offrendo così alla politica un buon assist per mostrare a costo zero un certo interesse sul futuro. Ridurre il debito ambientale, se così vogliamo chiamarlo, è un tema importante, rispetto alla tutela del nostro futuro, ma mai come in questo momento l’Italia avrebbe bisogno di una Greta disposta a smuovere le coscienze delle nuove generazioni su un debito non meno importante: quello previdenziale. Più alla politica verrà concesso di spendere in ogni Finanziaria più soldi per l’emergenza pensioni e più la politica farà un passo per prendere per il culto un pezzo non irrilevante del paese. Forse è ora di svegliarsi.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.