Il portafogli non è una questione di stato

Sergio Boccadutri

L’attenzione tardiva della politica ai pagamenti elettronici porta il governo a volere sopprimere il contante e a tentare di forzare l’innovazione. Ecco perché sarebbe più efficace lasciar fare alle imprese

Tanto tuonò che piovve. Dopo anni la politica dimostra un po’ di attenzione al mercato dei pagamenti elettronici, non come strumento per innovare il sistema paese – non si può avere tutto – ma con funzione anti evasione. In questo senso uno stimolo alla discussione è stata sicuramente la proposta del Centro studi di Confidustria, che nel merito non ho condiviso per le motivazioni che ho già espresso su queste colonne. Da allora si sono inseguiti sui giornali i rumor sulle proposte del governo, dalle più fantasiose alle più concrete. Ma cosa serve davvero all’Italia per recuperare il gap cumulato in questi anni sull’utilizzo dei pagamenti digitali? Nel paese che dimostra un amore sconsiderato nei confronti del contante, come si potrebbe incentivare il trend (nel 2018 il numero delle operazioni è aumentato del 11,6 per cento rispetto al 2017) che comunque dimostra una crescita costante del ricorso agli strumenti di pagamento elettronico? Quali sono le conseguenze probabili di alcune delle nuove misure date ormai per certe?

  

 

Partiamo dall’origine di tutto. Ormai è d’obbligo ascoltare nei talk show, esattamente come al bar dello sport, il politico che vi spiega che per “incentivare la moneta elettronica” – e già questo dovrebbe farvi saltare la mosca al naso – è necessario ridurre le commissioni. Pochi si sono curati di verificare se davvero in Italia le commissioni siano superiori a quelle applicate in altri mercati europei; guardate il grafico in pagina per capire che non è così. Ma oltre a questo il politico in questione dovrebbe spiegare come sia possibile per uno stato come l’Italia stabilire un “prezzo amministrato” su un servizio. Certo nel paese in cui si è deciso per legge che le compagnie telefoniche devono necessariamente adottare una tariffazione su base mensile e non settimanale tutto è possibile, anche una legge che disponga che il barattolo della Nutella deve pesare 500 g o 1 kg. Scartiamo comunque l’ipotesi di una riduzione ex lege delle commissioni a carico dei beneficiari dei pagamenti con carta - non credo che il legislatore voglia vedere lo stato italiano implicato in un giudizio di fronte la Corte di Giustizia – e diamo invece per buona l’ipotesi di una soluzione “contrattuale”, ovvero di un impegno tra i principali operatori di mercato, conseguente alla forte moral suasion del governo. Ebbene, un tale accordo potrebbe  prefigurare una violazione dell’articolo 101 TFUE, sanabile solo da una autorizzazione concessa dall’Autorità per la concorrenza. E ammettiamo anche che l’Agcm autorizzi l’intesa tra le parti. La politica dovrebbe domandarsi se gli effetti di una simile disposizione sono davvero convenienti. Infatti, rimarrebbe vivo il rischio di un effetto distorsivo sul mercato: le soluzioni di pagamento ancora meno diffuse ma più innovative e capaci di offrire soluzioni ad un prezzo inferiore per il commerciante, vedrebbero i “grandi” accordarsi sulla componente statica della concorrenza (il prezzo, appunto) inibendo ai piccoli e nuovi, non basati su carta e quindi più economici, la capacità di penetrazione nel mercato dei pagamenti. Inoltre, i grandi operatori anche in ragione della loro presenza significativa sul mercato,  potrebbero ribaltare la riduzione dei costi a valere  su  altri servizi offerti alla clientela. Certo lo stato dovrebbe fare la sua parte evitando esso stesso di ribaltare le commissioni sui cittadini che usano PagoPA, e quindi la stessa Pubblica amministrazione dovrebbe farsi carico, esattamente come ogni commerciante, del costo dell’operazione. Del resto la Pubblica amministrazione quando incassa tramite PagoPA riduce i costi relativi alla gestione del contante (indennità di cassa, assicurazioni, tempi riconciliazione etc.), riduce i rischi (furti, errori) e ne guadagna in termini di gestione del flusso di informazioni.

  


 Infografica di Enrico Cicchetti, elaborata da Stefano Campera 


 

Si fa strada poi l’idea di riconoscere le detrazioni fiscali in dichiarazione solo a fronte di spese pagate con strumenti tracciabili. Nel sistema delle detrazioni ci sono già altri esempi nei quali è anche richiesto l’utilizzo di strumenti di pagamento tracciabili: dalle detrazioni per lavori edili o riqualificazione energetica (in questo caso è persino richiesto uno strumento specifico: il bonifico parlante), o ancora per l’acquisto di mobili o elettrodomestici in occasione delle ristrutturazioni, e poi anche nel caso delle detrazioni delle liberalità a fondazioni o partiti, o nel caso di acquisto carburanti. Il governo raccoglierebbe così una proposta che io stesso ho fatto nel 2014 con una proposta di legge a mia firma sull’incentivazione dei pagamenti elettronici. Ma poiché non c’è detrazione senza fattura, si chiede in sostanza ai contribuenti una sorta di collaborazione attiva finalizzata alla riduzione della massa di contante circolante. La misura infatti seppure in ambito B2C (Business to consumer) potrebbe produrre un effetto positivo in quel segmento di evasione che si concentra sui passaggi B2B (Business to business) in contanti, per esempio l’acquisto di forniture da parte di un professionista. E quindi, oltre a rimettere anche in piedi la “lotteria degli scontrini” (anche questa una mia proposta approvata nella scorsa legislatura e rinviata dal governo gialloverde), che prevede nel caso di pagamenti con strumenti alternativi al contante una maggiore probabilità di vincita, quali altre misure potrebbe (o meglio dovrebbe) assumere il governo?

 

 

In primo luogo dovrebbe partire dalle cose semplici e lasciare fare il proprio mestiere alle imprese. Il governo potrebbe pubblicizzare maggiormente il conto di pagamento di base, un conto corrente che risponde a finalità di inclusione sociale e finanziaria e strumento a operatività limitata che offre, a condizioni eccezionalmente convenienti, alcuni servizi di base, tra i quali l’emissione di una carta di debito. Le banche e bancoposta devono prevederlo nell’ambito della loro offerta. Pertanto, la promozione del conto base soprattutto nei confronti dei cosiddetti “unbanked”, in linea con le strategie europee aiuterebbe a dotare chiunque di una carta di debito utilizzabile per ogni tipologia di spesa e modalità di pagamento (per esempio adesso anche le soluzioni del circuito domestico PagoBancomat sono utilizzabili in modalità contactless e per spese via internet).

 

Un’altra misura potrebbe essere quella di incentivare i programmi di loyalty dei singoli emittenti strumenti di pagamento a favore dei propri clienti. I sistemi premiali (per esempio cashback, accumulo di punti-premio spendibili per beni e/o servizi) stimolano l’utilizzo di strumenti di pagamento alternativi al contante, tra l’altro con l’effetto che in alcuni casi si traduce in un doppio vantaggio per il consumatore (si pensi all’utilizzo dello strumento di pagamento presso un esercente che ha anche un proprio programma di loyalty come catene commerciali e supermercati). Con l’incentivazione dei loyalty program tra l’altro si stimolano le società emittenti a concorrere sulla qualità dei premi (beni e/o servizi) a catalogo nel programma, da un lato per promuovere l’adesione alle proprie soluzioni di pagamento, dall’altro per incentivare i clienti ad utilizzarli. Ed è sicuro che quando si tratta di fare marketing le imprese private, che conoscono bene i loro clienti, sono sicuramente più capaci dello stato. L’incentivazione potrebbe consistere in una riduzione della cauzione sui premi per le imprese virtuose che hanno sempre consegnato i premi ai clienti, ovvero riconoscendo un credito di imposta pari ad una percentuale del valore dei premi regolarmente consegnati alla clientela verso le società emittenti nel periodo di imposta successivo a quello in cui i premi sono stati consegnati, a condizione che il relativo valore sia stato ribaltato sui consumatori.

 

Un’altra misura, nel paese della complicazione degli affari semplici, potrebbe essere quella di prevedere una riduzione degli oneri di compliance nella fase di acquisizione della clientela, rispetto a quanto previsto in altri paesi. Ovviamente avviando un confronto tra le best practice europee, espungendo dal nostro ordinamento tutte quelle disposizioni (anche secondarie) che non trovano ragionevolezza nell’approccio basato sul rischio della disciplina anti riciclaggio e che rendono solo più farraginose le fasi di acquisizione della clientela rispetto a quella dei competitor europei, soggetti tra l’altro alla medesima disciplina primaria.

 

Si tratta ovviamente di un elenco di iniziative che ha bisogno di alcuni mesi per essere realizzato, proprio per questo la prossima legge di Bilancio potrebbe essere l’occasione per risolvere un’anomalia del nostro ordinamento, così rendendo effettiva la libertà del consumatore di scegliere la modalità di pagamento preferita. Delle due l’una o si cancella un obbligo ipocrita o si disciplina una sanzione. Ma anche in questo caso servirebbe “misura” piuttosto che sanzioni punitive, basterebbe estendere quanto già previsto nell’articolo 693 del codice penale, che prevede una sanzione amministrativa (la norma è stata depenalizzata) fino a trenta euro in caso di mancata accettazione di moneta avente corso legale, per ogni rifiuto. L’accertamento non sarebbe certo sempre agevole, ma almeno il consumatore non sarebbe lasciato solo di fronte al rifiuto del commerciante.

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