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Quei negozi chiusi che il governo non vede

Secondo Confesercenti nel 2019 spariranno 5 mila attività commerciali, 14 al giorno. La presidente De Luise: “Ci troviamo di fronte ad una crisi aziendale gravissima, anche se nessuno sembra accorgersene”

Bisognerebbe chiederlo a loro se questo 2019 sarà effettivamente un anno bellissimo. Bisognerebbe chiederlo agli oltre 5 mila negozi che, secondo le stime di Confesercenti, saranno costretti a chiudere. Più o meno 14 al giorno. Un dato che testimonia, come se ce ne fosse bisogno, che la crisi dell'Italia è molto più profonda di quello che il governo gialloverde racconta. E che quella del commercio è diventata ormai strutturale. 

  

“C’è bisogno di un intervento urgente per fronteggiarla: chiederemo al governo di aprire un tavolo di crisi – spiega Patrizia De Luise, presidente di Confesercenti – Se si pensa che, in media, ogni piccolo negozio che chiude crea due disoccupati, è chiaro che ci troviamo di fronte ad una crisi aziendale gravissima, anche se nessuno sembra accorgersene. Persino il commercio su aree pubbliche è in difficoltà, messo a terra da un caos normativo che ha accelerato la marginalizzazione dei mercati e il dilagare dell’abusivismo. Non è un problema dei soli commercianti: gli effetti collaterali della crisi del settore si estendono anche alla dimensione sociale e urbana. La tradizionale rete di vendita aiuta a dare identità ad un luogo e rende maggiormente attrattive le aree urbane. Per le quali il commercio è un settore economicamente significativo, che contribuisce a produrre reddito locale ed occupazione”.

 

Principale “motore” di questa crisi è la spesa delle famiglie che nel 2019, senza un'inversione di tendenza, farà segnare un calo dello 0,4 per cento delle vendite: oltre un miliardo di euro in meno rispetto al 2018, il risultato peggiore degli ultimi quattro anni.  

 

Oggi, secondo i dati di Confesercenti, le famiglie italiane spendono annualmente 2.530 euro in meno rispetto al 2011 e questo avviene sia al sud che al nord: le famiglie lombarde hanno ridotto i loro consumi del 3,5 per cento, quelle venete del 4,4 per cento, poco meno di quanto avvenuto in Calabria, dove la contrazione è stata del 4,8 per cento. Se a questo si aggiunge anche la concorrenza di web e outlet ecco che la crisi appare irreversibile Secondo l'associazione quasi un’attività commerciale indipendente su due chiude entro i tre anni di vita e oggi, rispetto al 2011, ci sono 32mila negozi in meno.

  

“È necessaria un’azione organica, ad ampio spettro, per restituire capacità di spesa alle famiglie e per accompagnare la rete commerciale nella transizione al digitale, creando le condizioni per una leale competizione con il canale web - continua De Luise –. Serve formazione continua per gli imprenditori, ma anche sostegno agli investimenti innovativi ed un riequilibrio fiscale che consenta una concorrenza alla pari tra offline e online. Apprezziamo le iniziative di confronto con le parti sociali annunciate dal governo: siamo pronti a fornire il nostro contributo sotto il profilo dell’analisi e dei possibili interventi. Per questo siamo in attesa degli incontri con le parti sociali proposti dal Governo. Un’iniziativa che riteniamo positiva ed utile: l’auspicio, però, è che si tratti di incontri sostanziali e non formali. Le nostre emergenze sono concrete e ci attendiamo risposte concrete”.

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