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Grazie all'Unione europea è più facile conquistarsi la pensione

William Chiaromonte

La possibilità di esercitare il diritto di circolare e lavorare in diversi paesi senza essere penalizzato dal punto di vista pensionistico rispetto a chi ha sempre risieduto e lavorato in un solo stato

Accade sempre più spesso che le ambizioni, i sogni, le occasioni o, talvolta, le necessità ci spingano a valicare, le valigie in una mano, gli affetti nell’altra, i confini nazionali. Il lavoro rappresenta certamente uno dei principali motivi che provocano la decisione di spostarci altrove, ossia di “migrare per motivi economici”, nel linguaggio degli studiosi del fenomeno migratorio. In questi casi, più di quanto già normalmente non avvenga, il lavoro condiziona le nostre scelte di vita. Per alcuni si tratta di scelte necessitate, fatte turandosi il naso; per altri, soprattutto per quella generazione Erasmus che dell’incontro con culture diverse dalla propria ha fatto uno stile di vita, il “nomadismo lavorativo” rappresenta una realtà con la quale è necessario (e – perché no? – piacevole) avere quotidianamente a che fare.

 

Pietro può certamente essere annoverato fra coloro che la scelta di spostarsi altrove per motivi di lavoro l’hanno fatta consapevolmente e di buon grado. I primi sintomi del “nomadismo” i suoi genitori li avevano già avvertiti quando, fin dai primi anni di vita, aveva dimostrato una particolare predilezione per i viaggi, le lingue, i gusti e le usanze diverse dalle proprie. L’esperienza dello scoutismo lo aveva portato, tredicenne, a confrontarsi – per la prima volta lontano dalla propria famiglia, in un paese diverso dall’Italia – con un gruppo di coetanei esploratori olandesi. Ma sono stati sicuramente gli anni dell’università, trascorsi studiando giurisprudenza, da un lato, e sporcandosi le mani nell’associazionismo, dall’altro, ad aver consolidato quella forma mentis che lo avrebbe condotto, qualche anno più tardi (e volentieri), ad accettare una proposta lavorativa in Francia, a Parigi, nella città nella quale già aveva vissuto per qualche mese, proprio durante gli anni dell’università, nell’ambito del progetto Erasmus. Dopo la laurea, a dire il vero, il primo impiego lo aveva trovato in Italia, solo poche strade più in là rispetto alla casa nella quale era cresciuto. Una grande azienda, intuendo le potenzialità e le capacità del neo dottore, gli aveva difatti offerto di sperimentarsi nell’ufficio che ne gestiva le risorse umane, facendogli mettere a frutto le conoscenze acquisite nel corso degli anni universitari. Pietro aveva accettato subito l’allettante proposta, lanciandosi con entusiasmo nel mondo del lavoro, e poco alla volta aveva consolidato un’elevata professionalità, che nel giro di un decennio lo aveva condotto a essere riconosciuto come uno stimato professionista nel settore della gestione delle risorse umane. Dieci anni di lavoro. Dieci anni di contributi versati all’ente previdenziale italiano. E poi la svolta: arrivò una nuova proposta di lavoro, una proposta prestigiosa e molto allettante, con ottime prospettive di crescita, tanto professionale, quanto umana. Il fatto che la proposta provenisse da Parigi, per Pietro e per la sua famiglia aveva rappresentato uno stimolo. Ne aveva parlato – a dire il vero, non c’era neppure stato bisogno di discuterne troppo a lungo – con sua moglie Sara, che avrebbe dovuto cercare anch’essa in Francia una nuova occupazione, ma avevano subito convenuto che la sfida meritava di essere accolta. A farli propendere per il trasferimento fu anche la prospettiva di far crescere Marco e Luca, i loro due bambini, che allora avevano tre e cinque anni, in un contesto diverso da quello in cui avevano vissuto fino a quel momento, con l’opportunità di far assimilare loro una lingua ed una cultura diverse da quelle d’origine. E così la decisione fu presa. E trascorsero altri venti anni. Venti anni di lavoro. Venti anni di contributi versati all’ente previdenziale francese. L’ennesima sterzata nella vita di Pietro e della sua famiglia avvenne quando, con un bagaglio di trenta anni di esperienza lavorativa sulle spalle, una società spagnola con sede a Barcellona lo aveva contattato per proporgli l’affidamento di un ruolo di grande prestigio, sempre nell’ambito della gestione delle risorse umane. Pietro e Sara si guardarono negli occhi: Marco e Luca erano ormai grandi, l’uno brillante studente universitario di design industriale alla Sorbona, l’altro giovane ma già affermato chef nel Marais, entrambi oramai in grado di cavarsela da soli nella Ville lumière. Sarà stato il richiamo della Barceloneta, sarà stata la prospettiva di trascorrere gli anni della maturità all’ombra del caldo sole spagnolo, fatto sta che anche questa decisione fu presa d’impeto e senza troppi tentennamenti. E trascorsero così altri cinque anni. Cinque anni di contributi versati all’ente previdenziale spagnolo. Nel corso della sua vita lavorativa, Pietro è stato quindi complessivamente assicurato per trentacinque anni in tre diversi paesi membri dell’Unione europea. La durata del periodo assicurativo maturato in ciascuno stato membro, tuttavia, non sarebbe stata di per sé sufficiente a fargli acquisire, sulla base della legislazione nazionale, il diritto a una pensione in tale paese. Se non fossero esistite le disposizioni dell’Ue sul coordinamento dei regimi nazionali di sicurezza sociale, a tali condizioni nessuno dei tre stati interessati avrebbe riconosciuto a Pietro il diritto alla (meritata) pensione. Queste norme, invece, fortunatamente esistono; ed esistono da più di cinquant’anni. Non si tratta, a dire il vero, di norme che hanno dato vita ad un unico sistema europeo di sicurezza sociale, dato che ciò non sarebbe stato possibile da un punto di vista politico, considerate le caratteristiche e le peculiarità dei singoli sistemi previdenziali nazionali, da un lato, e la ritrosia degli stati membri a cedere all’Ue una porzione così rilevante della propria sovranità nazionale, dall’altra. Tali disposizioni si sono, allora, limitate a coordinare i sistemi nazionali, lasciando permanere le differenze esistenti fra i vari ordinamenti: ogni paese è rimasto libero di decidere chi sono gli assicurati ai sensi della propria legislazione, quali prestazioni erogare, a quali condizioni e secondo quali modalità di calcolo, nonché l’entità dei contributi da versare. Ciò nonostante, ogni stato si è dovuto conformare ad alcuni principi comuni e, in particolare, è stato obbligato a prendere in considerazione, ai fini previdenziali, i periodi di lavoro e di contribuzione svolti dai cittadini dell’Ue negli altri stati membri come se si trattasse di periodi maturati sotto la propria legislazione.

 

Grazie a queste norme, avendo raggiunto l’età pensionabile in Spagna, Pietro ha potuto presentare a Barcellona la sua domanda diretta a ottenere la pensione. Il competente ente spagnolo si è occupato della sua pratica, agevolando lo scambio d’informazioni tra Italia, Francia e Spagna in merito alla sua anzianità assicurativa. Ogni paese interessato ha, quindi, dovuto tener conto – per il sorgere, la conservazione e il calcolo della prestazione pensionistica – anche dei periodi assicurativi completati altrove. E, al termine dell’istruttoria, Pietro ha iniziato a ricevere – al raggiungimento dell’età pensionabile prevista dalla legge di ciascuno dei tre paesi – una pensione, commisurata ai periodi assicurativi completati in ciascuno degli stati interessati, da ogni paese membro in cui è stato assicurato: i contributi da lui versati non sono, quindi, andati perduti. In breve, grazie a queste disposizioni, Pietro ha potuto esercitare il suo diritto di circolare, soggiornare e lavorare in diversi paesi dell’Europa senza essere penalizzato dal punto di vista pensionistico rispetto a chi, invece, ha sempre risieduto e lavorato in Italia. L’Unione europea, con le sue regole, gli ha consentito di mantenere i diritti acquisiti nel corso della sua “carriera mobile” e di ricomporre, infine, la sua tutela previdenziale di lavoratore migrante. Se queste disposizioni non fossero esistite, ciò non sarebbe potuto accadere. Ma queste norme esistono; e, grazie a esse, molti altri Pietro sparsi per l’Europa oggi possono vedersi garantito il loro diritto alla pensione.

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