Foto LaPresse

Come reagirà il Regno Unito al rallentamento economico dell'Europa?

Alberto Brambilla

Perché sarà la debolezza europea a colpire l’economia inglese (che va) prima ancora della Brexit che verrà

Roma. Nelle cancellerie europee la maggiore preoccupazione è che il divorzio tra Unione europea e Regno Unito si risolva senza un accordo il prossimo marzo. “Certamente danneggerà il Regno Unito più di ogni altro paese in Europa, ma danneggerà chiunque”, ha detto mercoledì il ministro dell’Economia e dell’Energia tedesco Peter Altmaier. Intanto, però, i parlamentari inglesi hanno già iniziato a presentare i loro emendamenti al “piano Brexit B” del primo ministro Theresa May dopo che il piano A era stato bocciato la settimana scorsa. Gli emendamenti sono concepiti per consentire al Parlamento di esercitare un maggiore controllo sulla Brexit, dalla possibilità di prendere in considerazione un secondo referendum al negoziare un’uscita più morbida. Intanto l’economia inglese mostra di non avere contraccolpi a causa dell’incertezza sull’uscita dall’Unione europea.

   

I dati sul mercato del lavoro martedì hanno registrato un forte aumento dell’occupazione, pari a 141 mila posti di lavoro in più nei tre mesi fino a novembre, un aumento tale da portare il tasso di disoccupazione al 4 per cento, un tasso fisiologico, per cui si può dire che il Regno Unito è in uno stato di piena occupazione. Non c’è insomma alcuna volontà delle imprese britanniche di ridurre le assunzioni. In parallelo crescono i salari (compresi i bonus) del 3,4 per cento sempre a novembre. E siccome cala l’inflazione l’aumento dei redditi reali dovrebbe dare una spinta ai consumi. Secondo Andrew Wishart, analista di Capital Economics, interpellato dal quotidiano City.am, “con la crescita delle retribuzioni anche forte, le famiglie sono ben posizionate per aumentare le spese se e quando la Brexit dovesse partire”. Mentre Londra e Bruxelles trattano, gli inglesi hanno quindi l’opportunità di mettere fieno in cascina ed eventualmente mitigare gli effetti sui consumi interni del Regno Unito quando la Brexit arriverà. Anche la preoccupazione per un drastico calo degli investimenti diretti esteri dovrà essere per il momento ridimensionata. Uno studio della società di revisione Deloitte, pubblicato in occasione del forum economico di Davos, dice che negli ultimi tre anni il Regno Unito è stato la destinazione di oltre 140 miliardi di dollari di investimenti stranieri, in testa agli altri paesi europei, e superiori a quelli di Francia (50 miliardi) e Germania (44 miliardi) messi insieme. “Il rapporto evidenzia i fattori chiave che hanno reso il Regno Unito un luogo di così grande successo e [specularmente] le preoccupazioni sugli effetti che la Brexit potrebbe avere sulla nostra capacità di attrarre investimenti diretti esteri”, ha detto il vicedirettore esecutivo di Deloitte, David Sproul. D’altronde la forchetta dell’impatto tra una Brexit gestita e l’uscita senza un accordo è ampia.

    

Secondo il World economic outlook del Fondo monetario internazionale, con un accordo il pil del Regno Unito crescerà dell’1,5 per cento nel 2019 e dell’1,6 nel 2020. Altrimenti, la direttrice della ricerca al Fmi, Gita Gopinath, ha ipotizzato un graduale crollo del pil nel tempo tra il 5 e l’8 per cento. Ci sono insomma diverse ipotesi riguardo l’impatto della Brexit, ma in pochi stanno osservando con attenzione l’eventuale impatto sull’economia inglese del rallentamento dell’Europa continentale che è già in corso. Perfino la Banca centrale europea parlava di “rischi al ribasso” e “rallentamento” fino a pochi mesi fa quando invece la frenata è contingente. L’ultima indagine sui prestiti bancari dell’Istituto con sede a Francoforte mostra che la domanda di credito da parte dei consumatori e delle imprese si sta riducendo, un’altra prova che l’economia della zona euro ha perso slancio. La produzione industriale nella zona euro è calata dell’1,7 per cento a novembre rispetto a ottobre e del 3,3 per cento su base annua. Una prima stima della crescita dell’economia tedesca indica una crescita dell’1,5 per cento nel 2018 e poco sopra lo zero nell’ultimo trimestre. L’Italia è entrata in recessione alla fine dell’anno scorso e le principali organizzazioni internazionali, come il Fondo monetario, e nazionali, come la Banca d’Italia, hanno dimezzato le stime di crescita per l’anno in corso (dall’1 allo 0,6 per cento) mentre l’economia italiana è l’unica in Europa in cui la disoccupazione tende ad aumentare anziché a ridursi. In questo contesto la crescita della zona euro rimarrà piatta e la Bce non ha più grandi stimoli, come il Quantitative easing, da dispiegare. Chi si preoccupa per l’economia inglese, prima dell’impatto della Brexit, dovrebbe verificare quello della contrazione europea. Che non è un rischio ma una concreta possibilità. 

Di più su questi argomenti:
  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.