Carlos Ghosn ed Emmannuel Macron (foto LaPresse)

Harakiri Renault-Nissan

Ugo Bertone

Il numero uno Ghosn defenestrato con arresto, nonostante risultati eccelsi. Finisce l’èra dell’Auto globalizzata

Milano. Più implacabile di una spada di samurai la magistratura giapponese ha scelto un momento solenne per decapitare Carlos Ghosn, finora il manager più carismatico e popolare che l’occidente avesse prestato al Sol Levante. Ieri, infatti, la notizia dell’arresto del numero uno di Nissan e di Renault è arrivata mentre a Tokyo era in corso la cerimonia per i cento anni della Camera di commercio franco-nipponica, alla presenza di una massiccia delegazione d’oltralpe, a caccia di buoni contratti. O, comunque, di qualche buona notizia per il presidente francese, Emmanuel Macron, assediato in patria dai gilet jaune. Al contrario, l’arresto di Ghosn, il Napoleone dell’auto, finora noto soprattutto per avere vinto la sfida del risanamento di Nissan, getta una luce sinistra sul manager più noto del mondo dell’auto ancora in sella. E’ stato colpito dall’accusa di una frode ai danni del fisco per 40 milioni di euro, attraverso dichiarazioni dei redditi assai inferiori a quanto effettivamente percepito, più “numerosi e ulteriori atti significativi di cattiva condotta, come l’uso personale non autorizzato di beni aziendali”, come è emerso da un’indagine interna avviata dopo le spiate di una gola profonda.

 

“Siamo di fronte a una palese violazione degli obblighi di diligenza – ha detto quasi in presa diretta l’amministratore delegato della Nissan, Hiroto Saikawa – perciò proporrò al consiglio di amministrazione di rimuovere prontamente Ghosn dalle sue posizioni come presidente e membro del board”.  La “decapitazione” di Ghosn, eroe di manga e fumetti per il salvataggio di Nissan a fine anni Novanta, è prevista per giovedì, con il consenso dello stato francese che, in qualità di socio numero uno di Renault, è anche il socio di riferimento della casa giapponese. La conferma è arrivata dal ministro dell’Economia, Bruno Le Maire: “Ci impegniamo a garantire la continuità operativa e la governance del gruppo”, missione probabilmente affidata al numero due di Renault, cioè a Thierry Bolloré, lontano cugino del patron di Vivendi Vincent. Ma tanta fretta serve semmai a confermare che Ghosn, già protagonista di aspri scontri con il governo sia per l’entità dello stipendio annuo, arrivato anche a 16 milioni di dollari, sia per le battaglie contro l’invadenza dello stato azionista nelle sue scelte di manager. Era ormai considerato un personaggio scomodo a Parigi. La sorpresa è la svolta nell’atteggiamento dei soci giapponesi, su cui ha sempre fatto conto Ghosn.

 

Ma non è difficile immaginare che le ragioni della giustizia, in questo caso, collimano con quelle del business. Nissan non è più come vent’anni fa il parente povero dell’alleanza franco-nipponica, bensì la gallina dalle uova d’oro alla testa della formidabile armata costruita da Ghosn, arricchita un anno fa dall’arrivo di Mitsubishi: 10,6 milioni di auto, più di Toyota o di Volkswagen. Un record garantito più dal carisma del generale che dai numeri di Borsa o delle auto prodotte.

 

In cima alla piramide azionaria c’è lo stato francese con il 15 per cento di Renault che a sua volta controlla il 43 per cento di Nissan. Un castello di carte fragile che Parigi ha cercato invano di rafforzare – contro il parere di Ghosn – proponendo azioni di serie A e di serie B, manovra respinta dall’opposizione delle banche di Tokyo. E così Renault, che vende 3,8 milioni di vetture all’anno, si trova a controllare Nissan che ne vende 5,8 e che, secondo i calcoli di Deutsche Bank, ha un valore in Borsa tre volte superiore. Uno squilibrio sostenibile finché sul piatto della bilancia Renault ha potuto fare pesare l’unico manager dell’auto con un carisma paragonabile a quello di Sergio Marchionne che detestava, ampiamente ricambiato, il manager franco-brasiliano.

 

Ma oggi? L’alleanza, dicono i guru dell’auto, rischia di finire in cocci. Poteva finire in una fusione con definitive nozze per una compagnia che sorge a Tokyo e tramonta a Parigi se Ghosn fosse rimasto al comando. Ma la globalizzazione dell’Auto pare in ritirata. Non solo perché invece che realizzare grandi aggregazioni si moltiplicano i produttori, in particolare nel segmento dell’auto elettrica, ma anche perché, in epoca di crisi dell’economia globale, i grandi deal dell’auto non vanno più di moda: in parte per colpa dei dazi di Donald Trump e in parte per i rischi evocati dalla Brexit. Non capita per caso, insomma, la giustizia del samurai. Benché questo sviluppo per Renault-Nissan somigli molto a un harakiri.

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