Se sul recupero crediti il governo è in contraddizione. Riflessioni sulla Sga delle banche venete

Mariarosaria Marchesano

Ci sono 6 miliardi da recuperare da 25 mila aziende in tutta Italia. Riscuotere o conservare consenso? Questo è il dilemma di Lega e 5 Stelle

Milano. C’è un'ambiguità di fondo del governo sul tema dei crediti deteriorati. Da un lato, si dimostra preoccupato dell'impatto che le azioni di recupero possono avere sulla popolazione e dall'altro deve massimizzare il risultato quando è direttamente coinvolto. Con il crescere delle dismissioni di pacchetti di non performing loan da parte degli istituti di credito (le previsioni dicono che il 2018 si chiuderà con 80 miliardi) è prevedibile che aumenti la pressione su migliaia di famiglie e imprese debitrici. 

 

Ebbene, su questo punto il contratto Lega-5Stelle, al capitolo quinto, prevede quanto segue: “In materia di recupero forzato dei crediti da parte di banche e società finanziarie, intendiamo sopprimere qualunque norma che consenta di poter agire nei confronti dei cittadini debitori senza la preventiva autorizzazione dell’autorità giudiziaria”. Nessuno sa ancora bene come si tradurrà questo proposito nel concreto, ma è abbastanza per capire qual è la linea adottata. Peccato che lo stesso contratto non dica nulla per le situazioni in cui lo stato è parte in causa.

 

Prendiamo il caso del recupero di 18,7 miliardi di crediti deteriorati delle ex banche venete. Ad occuparsene è la Sga, società al 100 per cento del ministero dell'Economia, la quale, però, quando ha fatto lo stesso lavoro per i crediti del vecchio Banco di Napoli operava come bad bank dell'istituto di credito partenopeo con i soli diritti di voto in pegno al Tesoro che si manteneva neutro. Alla Sga lo scorso marzo sono stati trasferiti i prestiti inesigibili di Veneto Banca e Popolare di Vicenza, finite in liquidazione coatta amministrativa in virtù del piano approvato nel 2017 dal precedente governo previa negoziati con la Commissione europea. Un percorso blindato da una serie di decreti che difficilmente può essere messo in discussione. Anche perché i proventi dei recuperi (la stima è di oltre il 50 per cento) sono destinati al rimborso dei creditori delle due banche, in primis Intesa Sanpaolo (con la quale le liquidazioni hanno acceso un mutuo) e poi con le migliaia di piccoli risparmiatori che hanno subito un danno patrimoniale con il crac delle due ex popolari.

 

Il piano industriale della Sga è arrivato l'11 luglio sulle scrivanie dei commissari liquidatori: le posizioni debitorie sono in tutto 124 mila di cui circa 25 mila corrispondono ad aziende che devono restituire complessivamente 6,3 miliardi di euro su un totale di 18,7 miliardi. Dalla distribuzione geografica, emerge per la prima volta che la maggior parte delle imprese debitrici è concentrato tra Veneto e Lombardia che, insieme rappresentano circa il 58 per cento del gross book value, cioè il valore lordo dei prestiti. Ma attenzione, perché il raggio d'azione delle venete era molto esteso per cui una buona parte dei debiti si trova anche nel sud Italia, in particolare in Puglia e in Sicilia, dove le venete operavano attraverso le controllate Banca Apulia e Banca Nuova, oggi passate sotto il cappello di Intesa Sanpaolo.

 

Ebbene, la gigantesca operazione che sta per partire, mette attualmente in contraddizione il governo: se vorrà rispettare allo stesso tempo l'obiettivo di ottimizzazione dei recuperi e allo stesso tempo la promessa di rendere soft l'impatto su territori che rappresentano importanti bacini elettorali sia per Lega sia per i 5 Stelle. Per dirla in altro modo, un conflitto di interessi tra la necessità di compiere con successo l’operazione di recupero e l’utilità di conservare o aumentare consenso elettorale, di certo di non perderlo. 

 

Intanto, la Sga amministrata da Marina Natale, manager proveniente da Unicredit, va avanti seguendo il percorso impostato finora dal suo azionista e cioè dal Mef. Ma se la società vorrà almeno ispirarsi a una linea di maggiore elasticità soprattutto nei confronti delle imprese non potrà tardare a trovare nuova finanza per riportarle in bonis. In proposito è al vaglio l'emissione di obbligazioni da parte della Sga vista che quasi tutta la liquidità accumulata con l'operazione Banco Napoli è finita nel fondo Atlante2, rinominato Italian Recovery Fund. Ma questa è un'altra storia.