Le sorelle gemelle dei cieli

Stefano Cingolani

La crisi, lo stato sociale, gli scioperi: le storie parallele di Alitalia e Air France verso un unico buco nero

L’aeroplano ci ha svelato il vero volto della terra” (Antoine de Saint-Exupéry)

 

Vogliamo proporvi un piccolo indovinello. C’è una compagnia aerea famosa in tutto il mondo per i suoi scioperi, per la militanza dei dipendenti a cominciare dai tostissimi piloti, nella quale rotolano soprattutto le teste dei manager, il governo è insieme arbitro e giocatore, ma dà sempre ragione a chi grida di più. Nasce in un paese europeo di lingua latina, e ha il suo quartier generale in una delle città più famose e belle del mondo. Chi è? L’Alitalia direte voi lettori. Sbagliato, è l’Air France. Oddio, il nostro quiz potrebbe andare bene anche per l’Alitalia e in effetti qui sta il trucco, perché le due compagnie sembrano proprio due gemelle. Ma cominciamo dalla fine.

 

Un referendum tra i lavoratori della compagnia francese la settimana scorsa ha bocciato l’accordo e ha costretto l’amministratore delegato Jean-Marc Janaillac alle dimissioni. E’ il terzo sui cinque che si sono avvicendati negli ultimi 25 anni. Un referendum tra i dipendenti Alitalia, nell’aprile 2017, ha bocciato l’accordo sulla ristrutturazione e ha gettato la compagnia nelle braccia di un commissario liquidatore. Sono gli ultimi episodi di una lunga serie segnata, in Italia come in Francia, da un forte potere corporativo sia dei piloti sia del personale di terra. I primi hanno visto ridursi condizioni contrattuali di sicuro privilegio, ma hanno ancora un mercato (sia pur con stipendi e benefit spesso inferiori). Gli altri invece rischiano di rimanere completamente spiazzati dall’utilizzo sempre più diffuso delle tecnologie digitali.

 

Gli scioperi che hanno colpito l’Air France sono costati già mezzo miliardo di euro. Janaillac è l’ultima vittima di una serie che ha avuto un crescendo dagli anni 90. Memore di questa lunga storia di voltafaccia e ingovernabilità, il ministro delle Finanze Bruno Le Maire è sceso in campo con il consenso del presidente Emmanuel Macron per avvertire chiaramente che il governo non è più disposto a spendere nemmeno un euro dei contribuenti. “Se non vengono fatti gli sforzi necessari per portarla allo stesso livello competitivo di Lufthansa e altre grandi compagnie, sparirà”, ha detto il ministro. “Una ricapitalizzazione richiede i soldi dei francesi e io non prendo i soldi dei francesi per metterli in una compagnia che non è competitiva”. Quanto ai sindacati, le loro richieste sono “ingiustificate”. Apriti cielo. La battaglia è in corso e non sappiamo come andrà. Può anche darsi che il governo di En Marche faccia marcia indietro. Del resto, la Francia è la Francia. Ma c’è una bella differenza con l’atteggiamento del governo italiano verso l’Alitalia tenuta in vita con la respirazione artificiale e un prestito ponte di 600 milioni di euro rinnovato di trimestre in trimestre.

 

Una serie di difficoltà e conflitti segnata, in Italia come in Francia, da un forte potere corporativo sia dei piloti sia del personale di terra

Prima di tornare al di qua delle Alpi, cerchiamo di capire come stanno le cose in terra di Francia. La vertenza parte dalla richiesta di aumenti salariali del 5 per cento, mentre l’azienda propone solo l’un per cento annuo. I conti sono in rosso anche a causa di una operazione straordinaria per le pensioni dei dipendenti olandesi di Klm, i sindacati vogliono aumenti “alla tedesca”, ma la compagnia francese non ha la stessa efficienza della Lufthansa (di qui la provocatoria risposta del ministro dell’Economia). E’ vero che negli ultimi anni c’è stata una erosione superiore al 5 per cento dovuta all’aumento dei prezzi, tuttavia i lavoratori del trasporto aereo restano dei privilegiati, la loro può essere letta come una rivolta dell’aristocrazia operaia per usare una categoria marxista visto che oggi Karl Marx piace molto anche ai “portavoce della borghesia”. Come si è arrivati a questo punto?

 

Air France nasce nel 1933 per mettere ordine nel trasporto aereo che allora attirava i capitali e le energie di imprenditori privati. Mentre altrove c’erano già delle grandi compagnie nazionali (Klm 1919, Lufthansa, United Airlines e Pan Am nel 1926, American Airlines nel 1930), la Francia era rimasta indietro. Il governo aveva cominciato a sovvenzionare le imprese meno efficienti spingendole a fondersi sull’esempio degli altri paesi. Ma la piena nazionalizzazione avviene solo nel 1945. L’epopea dell’aria è finita, i racconti di Antoine de Saint-Exupéry pilota dell’Aeropostale l’aveva resa drammatica e romantica insieme. Adesso arrivava il momento del calcolo, della ragione, della pianificazione. Nel 1946 viene lanciato il primo concorso per le “maitresse des maison volantes”. Il primo luglio di quell’anno si inaugura la rotta Parigi-New York. Sotto la copertura dello stato, contando su un monopolio totale dei voli interni e semi completo sulle grandi rotte internazionali, tutta la polvere finisce sotto il tappeto, finché non arriva la liberalizzazione.

 

“Una ricapitalizzazione richiede i soldi dei francesi e io non li prendo per metterli in una compagnia non competitiva” (il ministro Le Maire)

Che non fossero tutte rose e fiori appare chiaro già alla fine degli anni 80, finché nel 1993, complice la guerra del Golfo Persico che fa impennare i prezzi del kerosene, tutto precipita. Gli scioperi paralizzano completamente la compagnia francese per intere settimane, è il più serio conflitto sindacale nella storia di Air France. A raddrizzare la situazione viene chiamato Christian Blanc, che aveva fatto faville nelle ferrovie sviluppando la rete dei treni ad alta velocità prima di rendersi conto che avrebbero inferto un’altra coltellata alle spalle del trasporto aereo. Blanc riforma profondamente l’azienda, decentralizza, rovescia come un guanto la struttura gerarchica ancora militaresca. Il suo piano di salvataggio viene approvato con un referendum perché i dipendenti si rendono conto che è l’unico modo di salvare il posto di lavoro. Quattro anni dopo, di fronte a una nuova ristrutturazione, gli volteranno le spalle. Blanc, tecnocrate vicino all’ala riformista del Partito socialista, aveva incassato il primo risultato positivo dal 1989, ma il tesoretto accumulato grazie a economie fino all’osso e a una ristrutturazione su basi più moderne, che tenesse conto della concorrenza accresciuta dalla liberalizzazione dei cieli anche in Europa, aveva scatenato le ire e gli appetiti dei sindacati. Piloti, steward e personale di terra, protestando di aver fatto abbastanza sacrifici, chiedevano la propria fetta della torta. Il governo di sinistra, della gauche plurielle, guidato da Lionel Jospin e costretto a coabitare con Jacques Chirac, un presidente della Repubblica gaullista, non fece nulla per difendere Blanc.

 

La crisi del 1993 aveva interrotto il dialogo in corso per un accordo con l’Alitalia anch’essa in serissime difficoltà. La compagnia francese veniva chiamata il Quai d’Orsay (cioè il ministero degli Esteri) con le ali; quella italiana era la Farnesina dei cieli: entrambe seguivano rotte dettate da scelte geopolitiche, non da convenienze industriali, del resto erano possedute dai governi e i contribuenti pagavano le perdite a suon di tasse. Poi negli anni 90 il panorama cambia radicalmente con la liberalizzazione in Europa. “Open sky, cielo aperto”: aumenta la concorrenza e irrompono le low cost, prima su piccole tratte poi con un raggio sempre più vasto. Ma non è l’unica grande novità. Si diffonde una innovazione tecnologica che muta radicalmente il trasporto via terra, grazie ai treni ad alta velocità, i quali conquistano alcune delle rotte più ricche che erano monopolio delle compagnie di bandiera: si pensi a Roma-Milano-Torino e Parigi-Lione-Marsiglia. Nelle linee aeree, così, arrivano le privatizzazioni. In Air France per la verità lo stato continua a mantenere una quota del 14 per cento, Alitalia diventa davvero privata anche se è sostenuta dalle grandi banche “di sistema” e poi da “capitali coraggiosi” sollecitati dal governo.

 

I costi sono talmente alti e la concorrenza così feroce che occorre cercare economie di scala, quindi bisogna fondersi. Lo fa in modo molto aggressivo la Lufthansa diventando egemone nell’Europa del nord e dell’est; lo fa la British Airways che conquista la Iberia e le rotte latino-americane. L’Alitalia si rivolge a Klm e nel novembre 1999 sembra fatta: l’accordo prevede una joint-venture che appare vantaggiosa per entrambi. Il consiglio d’amministrazione olandese, però, boccia l’intesa. Poco dopo spunta Air France e le nozze si celebrano nel 2004. Il nuovo colosso dei cieli può competere con britannici e tedeschi, tuttavia a condizione che lo stato garantisca una ciambella di salvataggio. Per Alitalia cominciano anni bui. L’ipotesi di una vendita ai francesi riemerge nel 2006, caldeggiata dal governo di Romano Prodi, ma non sarebbe più un’intesa tra pari, perché la compagnia italiana è in caduta libera. Nel 2009 ogni trattativa viene interrotta dal governo Berlusconi che chiama in campo una cordata italiana composta dalla Intesa Sanpaolo con il 20 per cento, le Poste italiane, la Unicredit e una serie di imprenditori (Roberto Colaninno, Benetton attraverso Atlantia, Riva, Pirelli, Marcegaglia). Air France mantiene uno zampino con il 7 per cento. Ma non funziona. Dal 2009 in poi le perdite sono state continue. Perdite degli azionisti e dei contribuenti perché lo stato ha pagato per la cassa integrazione straordinaria e il fisco ha incassato meno. Nel 2014 arriva da Abu Dhabi nel golfo Persico lo sceicco sul cavallo bianco accolto a braccia aperte da Enrico Letta, capo del governo: è Etihad che acquisisce il 49 per cento, ma prende in mano l’intera gestione. Un altro flop e il matrimonio finisce in un clamoroso divorzio.

 

La crisi del ’93: entrambe le compagnie seguivano rotte dettate da scelte geopolitiche, non da convenienze industriali

Che cosa è successo? Secondo l’economista Ugo Arrigo, professore associato alla Bicocca, la risposta è nei conti, anzi nei costi. Nel 2014 la gestione aveva riportato una perdita di 149 milioni di euro, l’anno dopo sale a 337 milioni; il peggioramento è dovuto a una riduzione dei ricavi per 158 milioni a causa della riduzione dei prezzi sotto l’effetto della concorrenza e a un aumento dei costi per 30 milioni. Anche Lufthansa ha ridotto i prezzi, ma nello stesso tempo è riuscita a tagliare le spese senza per questo peggiorare i servizi. Tra i costi c’è il personale, ma non solo, c’è il carburante, ci sono i servizi di terra e quelli commerciali. Secondo altre scuole di pensiero, Etihad ha portato pochi capitali (circa un miliardo di euro) insufficienti per rafforzare la flotta. Sul lungo raggio, il comparto più redditizio, Alitalia non ha avuto mano libera. A est, soprattutto in direzione di Cina e India, due dei mercati che crescono di più al mondo, la compagnia italiana è stata frenata dal suo partner, il cui interesse era portare i passeggeri ad Abu Dhabi, da dove farli ripartire verso oriente. Anche verso occidente Alitalia è stata limitata, perché più debole con gli alleati di Sky team: Air France-Klm e l’americana Delta. In più, Etihad non si è rivelato il partner adatto: l’intera sua strategia europea è crollata ed è fallita anche l’“ala tedesca” Air Berlin, subito raccolta dalla onnivora Lufthansa attraverso la sua low cost Eurowings. E a questo punto l’Alitalia viene messa vendita.

 

La patata bollente è nelle mani del prossimo governo. Il Movimento 5 stelle mostra un interesse particolare per il trasporto aereo: per la vicepresidenza della Camera i grillini hanno scelto Maria Elena Spadoni, ex assistente di volo, mentre al Senato è stata eletta Giulia Lupo, hostess di Alitalia e di Airone, per anni sindacalista dell’Unione di base milanese. Lorenzo Fioramonti, economista del movimento, forte della sua esperienza accademica in Sudafrica, ha le idee chiare: “Se non ci sono imprenditori italiani disponibili allora non resta che la nazionalizzazione”. Anche Matteo Salvini vuole difendere l’italianità ed è d’accordo a nazionalizzare. O almeno lo era, vedremo adesso che succede se si forma un governo giallo-verde e in mano a chi va il dossier. Sia Alitalia sia Air France sono state colpite dalla stessa trasformazione del trasporto aereo a causa di una serie di “innovazioni distruttive”: le lowcost, i treni ad alta velocità, l’economia digitale. Non si capisce in che modo la nazionalizzazione risolverà questi tre problemini. E se l’expertise è quello delle hostess sindacaliste di base, stiamo freschi. L’offerta migliore per l’Alitalia l’ha presentata la Lufthansa la quale, tuttavia, è disposta a prendersi soltanto una compagnia ripulita dalle perdite e dai costi in eccesso, a cominciare da quelli dei dipendenti. Ci sono poi Easy Jet, insieme al fondo Cerberus e a Delta Airlines,

Le “innovazioni distruttive”: le low cost, i treni ad alta velocità, l’economia digitale. Fioramonti e Salvini d’accordo a nazionalizzare

infine la ungherese Wizzair. La Air France-Klm si è tirata indietro anche perché nel frattempo si sono deteriorate le sue stesse condizioni operative. I ricavi si riducono, ma soprattutto crolla il margine industriale. Al netto di fattori congiunturali, pesa un cambiamento di fondo. Il protezionismo nazionale sul quale ha potuto contare a lungo, è molto ridimensionato; oggi si arriva a Parigi con una pluralità di vettori a basso costo ed efficienti, molti aeroporti sono ormai privati (Le Maire ha detto che il governo cederà anche la quota che possiede nello scalo parigino Charles de Gaulle) grazie anche a capitali stranieri. Insomma, l’intero modello del trasporto aereo si è trasformato rapidamente in Francia come è già avvenuto in Italia. Le parallele, a questo punto, finiscono per convergere verso un unico grande buco nero. C’è ancora, al di là delle dichiarazioni ufficiali, un interesse francese per l’Alitalia? Forse sì. Non per amore della coda bianca, rossa e verde, ma per timore di essere del tutto surclassata dalla potenza di Lufthansa. Sarebbe il matrimonio tra un cieco e un sordo officiato da uno zoppo? Dipende, potrebbe diventare l’occasione per portare due aziende ad alta caratura politico-sindacale, che non hanno mai abbandonato la cultura della compagnia di bandiera, sostanzialmente protetta e garantita dai governi, dentro una logica di mercato, da impresa multinazionale, quella stessa logica che nel suo insieme ha favorito i viaggiatori, non i monopoli e le corporazioni. Un sogno, o meglio una illusione. “Fate che il sogno divori la vostra vita perché la vita non divori il vostro sogno”,scriveva Saint-Exupéry prima d’essere abbattuto al largo della Corsica da un caccia della Luftwaffe.
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