Il voto del nuovo consiglio di amministrazione di Tim. Foto LaPresse

Legittimi sospetti sulla convergenza d'interessi tra Vivendi e Elliott

Alberto Brambilla

Non solo il piano industriale. I punti di sintesi tra i due azionisti di Tim sono ora maggiori dei motivi di contrasto

“Tratto i miei amici come temporanei pre-nemici, i miei nemici come temporanei pre-amici, e i miei post-amici come nemici permanenti”. Questo fulminante tweet di Nassim Taleb, l’autore del celebre saggio “Il cigno nero”, fornisce una chiave di lettura utile a descrivere la battaglia intercorsa tra la compagnia francese Vivendi di Vincent Bolloré e il fondo americano Elliott per il controllo di Tim. “Trattare i miei nemici come temporanei pre-amici” è la frase che meglio descrive i rapporti tra i due soci che si sono affrontati per il governo del cda, almeno fino all’assemblea dei soci di venerdì scorso. A prevalere è stato Elliott che ha ottenuto la maggioranza assoluta dei posti in consiglio grazie all’appoggio decisivo della Cassa deposti e prestiti. A marzo Elliott aveva cominciato a rastrellare azioni Tim sotto elezioni politiche, approfittando del clima anti francese del governo uscente e dei partiti in corsa alle urne, facendo propaganda mediatica tra gli azionisti, fondi istituzionali e piccoli soci, contro Vivendi accusata in primis di una gestione fallace che ha fatto perdere al titolo in Borsa il 35 per cento del valore.

  

   

Poco prima dell’assemblea decisiva del 4 maggio e in seguito all’ingresso di Cdp nell’azionariato, Elliott ha però cambiato sostanzialmente opinione in merito a Vivendi sposando il piano industriale preparato dall’amministratore delegato Amos Genish, scelto da Vivendi e fedele di Bolloré. Per cui la rete telefonica, prima da scorporare immantinente da Tim, può invece rimanere nel perimetro della compagnia e l’ad Genish può restare al suo posto. In linea di massima Elliott si è trovata insomma a convergere con la posizione del suo iniziale nemico. E Vivendi? E’ possibile aspettarsi una convergenza simile e parallela? Vivendi ha investito circa 4 miliardi di euro in Tim e con il 23,9 per cento delle quote aveva preso il controllo del cda. Ora è il primo socio unico ma non ha in mano il governo della compagnia e, sebbene il suo piano industriale sia salvaguardato, avrebbe l’opportunità di cambiare strategia e passare da un atteggiamento da operatore industriale a uno da operatore speculativo. Quindi in linea con Elliott che è un fondo attivista e quindi determinato a estrarre valore da un’operazione in breve tempo anziché gestire un’azienda nel lungo periodo.

   

Bolloré non si trova in una buona posizione dopo l’incursione di Elliott. Non solo per una questione di governance. Il suo piano di allearsi con Mediaset per creare una media company europea di contenuti televisivi da distribuire online è naufragato; Mediaset ha trovato altri partner in Francia e in Germania per cavarsela. Il patron Bolloré è poi in guai giudiziari per un’inchiesta per sospetta corruzione inerente alle sue attività logistiche in Africa. Il suo atteggiamento verso Tim, considerato arrogante dai politici italiani, lo rende inviso ai principali partiti che propugnano posizioni revansciste. Vivendi avrebbe dunque più convenienza a uscire con profitto dall’investimento o continuare a restare in un’azienda che non governa perdipiù circondata da nemici esterni? La risposta alla domanda spetta solo a Bollorè; Vivendi dice di avere intenzione di continuare a restare nella compagnia italiana e si felicita per la conferma di Genish alla guida, arrivata ieri alla prima riunione del nuovo cda targato Elliott. Tuttavia i punti di sintesi tra Vivendi e Elliott sono ora maggiori dei motivi di contrasto. Oltre al piano industriale che piace a entrambi, c’è la possibile via d’uscita da Tim che si individua nel prezzo del titolo. Vivendi è entrata in Tim due anni fa con un prezzo di carico di 1,08 euro. Elliott, entrata al prezzo di 0,70 circa, e considera giustificata l’uscita quando il valore raggiungerà 1-1,10 euro per azione. Il titolo Tim ha beneficiato della contesa nelle ultime settimane ed è arrivato ieri a 0,86 euro. I due pre-amici, per dirla con Taleb, hanno interesse a massimizzare l’investimento ed eventualmente uscire alla soglia di 1 euro. Il problema, in questo caso per ora teorico, è che la Cdp si troverebbe sola in Tim. E forse dovrebbe anche aumentare la sua presenza nel capitale. Si vedrà.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.