Ragioni per non essere allarmisti sulla contabilità degli Npl

Carlo Milani*

Se venisse varata la proposta Bce l'impatto per le banche sarebbe gestibile (13,4 miliardi), non da paventare un "credit crunch"

Lo scorso 4 ottobre la Banca centrale europea ha avviato una consultazione pubblica in merito a un’aggiunta (addendum) al regolamento sulle linee guida in tema di crediti deteriorati (Npl). Ieri il presidente della Bce, Mario Draghi, nel suo discorso introduttivo al Forum sulla vigilanza bancaria, ha rimarcato l’esigenza di intervenire su questo dossier, sottolineando come le banche con un elevato livello di Npl tendano a fornire meno credito a imprese e famiglie. Scopo dell’addendum è delineare alcuni livelli minimi di accantonamento che prudenzialmente le banche sottoposte alla vigilanza diretta della Bce dovrebbero avere a partire dal 1° gennaio 2018. Attraverso queste misure la Bce punta a evitare che si possa ripetere l’eccessiva accumulazione di crediti deteriorati con tassi di copertura non adeguati.

  

  

Nello specifico, le modifiche alle linee guida prevedono, per i crediti sui quali la banca non vanta alcuna garanzia reale (ipoteca o pegno), il raggiungimento graduale di un livello di accantonamento pari al 100 per cento dell’importo del finanziamento entro 2 anni dalla sua iscrizione nel portafoglio dei finanziamenti deteriorati. Per quei crediti sui quali è presente una garanzia reale si dovrebbe invece raggiungere una copertura totale entro sette anni. La consultazione si concluderà l’8 dicembre e dopo aver raccolto tutte le osservazioni la Bce deciderà se procedere o meno con le modifiche proposte. L’Italia è uno dei paesi maggiormente interessati: insieme a Cipro, Grecia, Portogallo e Slovenia siamo il paese europeo con la più alta incidenza dei crediti deteriorati rispetto al totale dei finanziamenti. La maggior dimensione del mercato bancario, però, pone l’Italia in testa alla classifica in termini di ammontare assoluto di Npl: circa un quarto di quelli europei si trovano, infatti, nel nostro paese. Secondo i calcoli del Centro europa ricerche (CER), l’addendum dovrebbe impattare sull’industria bancaria domestica per 13,4 miliardi di euro. Considerando il profilo temporale più rapido imposto per i crediti deteriorati non garantiti, che rappresentano la componente più ampia degli Npl, nei primi due anni si possono stimare maggiori accantonamenti per circa 5 miliardi di euro all’anno, mentre dal terzo al settimo anno sarebbero pari a 700 milioni. Se venisse varata la modifica alle linee guide sugli Npl per le banche italiane vigilate dalla Bce il conto da pagare sarebbe quindi “salato”, ma rimarrebbe comunque alla portata degli istituti italiani. Va ricordato che negli ultimi sette anni gli accantonamenti per il deterioramento dei crediti effettuati dalle banche italiane sono stati complessivamente pari a 165 miliardi di euro.

 

Gli allarmi sulle potenziali conseguenze in termini di razionamento del credito appaiono quindi esagerati. La strategia del fronte italiano di alzare le barricate su ogni misura volta ad affrontare l’annosa questione degli Npl non appare vincente. Si rischia, infatti, di far perdere credibilità alle istanze che vengono dall’industria bancaria del nostro paese. La questione andrebbe invece affrontata nel merito. Tra le critiche che possono essere avanzate alla proposta Bce c’è quella di essere eccessivamente prudente nell’ipotizzare accantonamenti al 100 per cento nel caso di finanziamenti non garantiti e, ancor di più, per i crediti garantiti da ipoteca o pegno. Inoltre, scadenzare rigidamente le politiche di accantonamento può offrire un vantaggio agli operatori specializzati nell’acquisto di Npl, che potrebbero attendere l’avvicinarsi dei tempi necessari per una svalutazione al 100 per cento prima di fare offerte (scontate) per rilevare pacchetti di crediti deteriorati. Insomma se l’addendum Bce nella sua attuale versione ha margini di perfezionamento, allo stesso tempo anche l’Italia dovrebbe sposare l’idea di affrontare la questione in modo ancor più vigoroso che nel passato sfruttando l’attuale miglior contesto macroeconomico.

 

* Carlo Milani è economista del Centro Europa Ricerche

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