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Indizi sulla riforma dell'Eurozona dalla corsa per l'Eurogruppo

Marco Cecchini

E' in pieno svolgimento la corsa per la successione di Jeroen Dijsselbloem alla presidenza dell’Eurogruppo dei ministri finanziari

All’ombra di un dibattito sulla riforma dell’Eurozona, che si svolge in virtuale assenza del suo azionista di maggioranza tedesco impegnato nella formazione di una nuova coalizione di governo, è in pieno svolgimento la corsa per la successione di Jeroen Dijsselbloem alla presidenza dell’Eurogruppo dei ministri finanziari – una posizione chiave, questa, nei meccanismi della governance europea. L’incarico dell’olandese Dijsselbloem, che da ottobre non fa più parte dell’esecutivo del suo paese ma è comunque rimasto al vertice del club, scade a metà gennaio.

 

Ieri i ministri finanziari della moneta unica si sono riuniti per discutere, sia di crediti deteriorati alla presenza dei rappresentanti della Bce che hanno confermato la linea di severità, sia del tema della successione, dopodiché in mattinata un articolo del Financial Times aveva lanciato la candidatura inedita del ministro lussemburghese, Pierre Gramegna. La candidatura di Gramegna, un centrista, sembra fatta apposta per provare a mettere d’accordo le aspirazioni contrastanti di popolari e socialisti per la poltrona di Djisselbloem e potrebbe essere un duro colpo per il ministro dell’Economia francese, Bruno Le Maire, finora il più accreditato alla successione (domani incontrerà Angela Merkel a Berlino forse per testare le sue chance nella corsa. Della lista, non lunghissima ma neppure breve, dei possibili successori dell’olandese fa parte anche il ministro Pier Carlo Padoan, molto apprezzato a Bruxelles (e nei cui confronti non si può obiettare l’appartenenza al governo di un paese prossimo alle elezioni, visto il precedente olandese).

 

La questione del vertice dell’Eurogruppo si intreccia con quella della riforma dell’Eurozona per varie ragioni. La nomina del nuovo presidente infatti verrà decisa a dicembre in concomitanza con la riunione del Consiglio dei capi di stato al quale la Commissione sottoporrà il suo articolato progetto di modifiche dell’architettura europea messo a punto in stretto contatto con la Bce. Non è inconsistente la possibilità che nel futuro assetto dell’Eurozona il primus inter pares tra i ministri finanziari assuma l’incarico di responsabile delle Finanze europeo. Tutto ciò basta a spiegare la crescente attenzione delle cancellerie sul tema.

 

Il dibattito sulle modifiche da apportare ai meccanismi della governance dell’euro, decollato in un clima di forte ottimismo dopo la vittoria di Emmanuel Macron nelle elezioni francesi, è poi proseguito a velocità più ridotta dopo la vittoria “dimezzata” di Angela Merkel.

 

La cancelliera non ha chiuso la porta né alle proposte francesi sul budget europeo (“purché non cifri centinaia di miliardi”) né a quelle sulla trasformazione del Fondo salva stati (Esm) in Fondo monetario europeo (Fme) e sulla creazione di un ministro delle Finanze dell’Eurozona. Cruciale per Berlino è tuttavia anche la questione dei titoli di stato in pancia alle banche, la cui limitazione al possesso è fondamentale per arrivare a una garanzia comune europea sui depositi, ovvero il terzo pilastro mancante dell’Unione bancaria. Merkel dovrà tenere conto delle diverse idee di cui sono portatori i membri della coalizione a quattro (Fdp, Cdu, Csu e Verdi) in fieri, in particolare delle rigidità del partito liberale. In generale la Germania – ne è prova il progetto di riforma lasciato da Wolfgang Schäuble – punta a circoscrivere i margini di discrezionalità e i poteri della Commissione nella sorveglianza delle politiche economiche dei paesi membri e vede l’Fme come un organismo tecnocratico più che politico. La Francia al contrario considera necessario un controllo politico dell’Fme e difende le prerogative della Commissione. L’evoluzione dell’Esm in Fme appare comunque segnata. Il punto è vedere dove si ferma l’ago della bilancia dell’intensità dei poteri del nuovo organismo.

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