Chiara Appendino (foto LaPresse)

Appendino lancia un grande round di privatizzazioni… ma sottovoce

Luciano Capone

La conversione di Chiara sulla via del dissesto di Torino

Roma. L’alternativa è chiara, come recitava lo slogan della campagna elettorale del M5s a Torino, ed è il predissesto del comune. Così, mentre a Roma Virginia dice che “privatizzare non è la soluzione” perché “equivarrebbe a svendere” e quindi “Atac resta pubblica”, nel capoluogo piemontese Chiara Appendino ha avviato un grande piano di privatizzazioni. O meglio, siccome la parola è bandita perché nettamente in contrapposizione al programma elettorale e ai principi grillini, il sindaco e il suo assessore al bilancio parlano di “riorganizzazione” e di “operazioni inerenti società ed enti partecipati dalla Città”. In una parola: privatizzazioni.

 

La giunta pensa di ricavare circa 30 milioni attraverso la cessione di partecipazioni e società pubbliche, tra cui le quote degli incubatori d’impresa 2I3T scarl e I3p, del Ceipiemonte, del Csp (promozione della ricerca industriale), dell’Ipla Istituto per le piante da legno e l’ambiente) e di Finpiemonte, la finanziaria della Regione. Verranno messe sul mercato anche le quote del Caat, il mercato agroalimentare, del parco tecnologico Environment Park, parco tecnologico, altre quote di società come l’Agenzia di Pollenzo, la Banca Popolare Etica, la Centrale del Latte. Ma i pezzi pregiati della vendita sono il 10 per cento della Sagat, la società che cestisce l’aeroporto di Caselle, e della Fsu, la holding in comproprietà con il comune di Genova che detiene il 36 per cento dell’Iren, la multiutility dell’energia (e dei termovalorizzatori).

 

“E’ obiettivo della Giunta – ha dichiarato il sindaco Appendino – procedere alla riorganizzazione delle proprie partecipazioni societarie in un’ottica di corretto utilizzo delle risorse pubbliche, del contenimento della spesa e del miglioramento delle performance aziendali dei servizi offerti a cittadini e imprese”. La nuova posizione efficientista dell’amministrazione grillina torinese, in netto contrasto con la retorica benecomunista della campagna elettorale, non è segno di una conversione ideologica al mercato ma è una svolta pragmatica dovuta alle cattive condizioni finanziarie del comune ereditate che, come evidenziato dalla Corte dei conti, potrebbero portare a una situazione di pre-dissesto.

 

Proprio per raddrizzare un po’ i conti in rosso del comune e far fronte alla crisi di liquidità, nei mesi precedenti la Appendino aveva prelevato, attraverso una riduzione del capitale, 20 milioni di euro da Fct Holding, la cassaforte che custodisce le partecipaizoni del comune di Torino. Ora gran parte di quelle stesse quote verranno alienate per recuperare altri 30 milioni, con un piano che è in continuità con quanto previsto dall’amministrazione Fassino. Dall’operazione di “riorganizzazione” è sclusa la Gtt, l’Atac torinese, che come la società capitolina – anche se non agli stessi livelli – naviga in cattive acqua. L’azienda dei trasporti di Torino ha problemi di liquidità, è schiacciata da 543 milioni di debiti (di cui, secondo l’ultimo bilancio, 168 milioni erano verso i fornitori) a fronte di un fatturato di 439 milioni e non ha ancora chiuso il bilancio del 2016 (come l’Atac). Il comune non ha soldi per fare una ricapitalizzazione, anzi è debitore nei confronti di Gtt di oltre 100 milioni, e a causa di questa situazione si parla di oltre 550 esuberi, contro cui i sindacati hanno già convocato uno sciopero per il 23 settembre (giorno del derby tra Juventus e Torino).

 

Rispetto all’immobilismo della Raggi, il piano di privatizzazioni della Appendino, oltre a dare una risposta agli oggettivi problemi di bilancio, ha il merito di dare una sforbiciata al socialismo municipale, anche se è in contraddizione con il programma elettorale: ai cittadini era stata promessa più partecipazione, avranno invece meno partecipate. La differenza è Chiara.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali