Chiara Appendino (foto LaPresse)

Il dossier dei Radicali sul primo anno di Appendino da sindaca

David Allegranti

Non solo Piazza San Carlo. Domandine sui finanziamenti, flop su molti fronti. Il “buco nel bilancio” di Fassino è una fake

Roma. Dal consumo di suolo all’ambiente, dalla sicurezza al “buco di bilancio” lasciato in eredità dalle giunte precedenti. I Radicali hanno setacciato il primo anno da sindaca di Chiara Appendino e prodotto un fact-checking in 16 punti. Un’analisi impietosa della gestione della città dopo 12 mesi a guida M5s. “In questi primi dodici mesi, quantomeno fino ai fatti di Piazza San Carlo, la sindaca grillina e la sua giunta – scrive l’associazione radicale Adelaide Aglietta nel suo dossier – hanno goduto di una relativa tranquillità, anche mediatica, dovuta in primo luogo a una certa simpatia, o perlomeno non ostilità, da parte dei media locali e nazionali e dei cosiddetti ‘poteri forti’ (che da consigliera, o in campagna elettorale, Appendino si proponeva di combattere), per incapacità delle opposizioni e, infine, perché l’operato a Torino è stato certamente oscurato dai disastri che l’omologa Virginia Raggi sta perpetrando sulla città di Roma”.

Ma il bubbone grillino alla fine è esploso anche nel capoluogo piemontese. Laddove si dimostra che l’amministrazione a Cinque stelle è un mix di improvvisazione e al contempo di potere partitocratico, come si capisce dai fatti di piazza San Carlo e dall’indicazione a inizio mandato di Paolo Giordana come capo di gabinetto, che di fatto è, scrivono i Radicali, il “sindaco ombra” di Torino. Ma già in campagna elettorale il M5s, alfiere della trasparenza, aveva mostrato le sue contraddizioni, a cominciare da una certa opacità: sui primi volantini non c’era il committente responsabile (su quelli più recenti la scritta è stata poi fatta a mano). In più, dopo un accesso agli atti, i Radicali hanno anche verificato la mancanza dell’indicazione dei conti correnti bancari, ed eventualmente postali, utilizzati. “In nessuna delle forme di propaganda elettorale (social, manifesti, volantini ecc.) è mai comparso il conto corrente elettorale sui cui, in via esclusiva, si sarebbero dovuti raccogliere i finanziamenti. E l’Appendino, nel suo rendiconto, ha sostenuto di aver speso per la sua campagna elettorale solo 895 euro. Vista la mole di pubblicità che ha rivestito la città – e i mezzi pubblici in particolare – nei giorni tra il primo e il secondo turno elettorale è lecito porsi qualche domanda”.

 

Nel corso dei mesi, poi, le contraddizioni e le piroette si sono fatte più evidenti. Per dire, nonostante i Cinque stelle rivendichino una certa diversità antropologica, il rimpasto di giunta dopo i fatti di San Carlo rientra nella solita, vecchia, tradizione partitocratica. E’ stato infatti individuato un capro espiatorio (Stefania Giannuzzi, assessore all’Ambiente), costretta alle dimissioni. D’altronde, scrivono i Radicali, “qualche testa doveva cadere e non poteva essere certo quella del fido scudiero Paolo Giordana. Si salutano così i curriculum, le competenze e le scelte per merito e si passa alla politica classica. Diventa assessore il capogruppo 5 stelle in Consiglio comunale Alberto Unia, tipografo”.

 

Altro punto dei sedici individuati dai Radicali, il famigerato “buco di bilancio” lasciato in eredità dalle giunte precedenti, uno dei cavalli di battaglia del M5s e della Appendino in campagna elettorale. “Sebbene Appendino facesse parte della commissione Bilancio nella scorsa legislatura e non avesse sollevato il problema, il buco di bilancio ereditato dalle giunte precedenti è stato un leitmotiv. Appendino scrive che ‘La giunta Fassino ha lasciato al 31/12/2015 il bilancio della città di Torino in una situazione di squilibrio strutturale: lo sancisce la Corte dei Conti nelle proprie conclusioni a termine della fase istruttoria. Cade così, definitivamente, il falso mito di aver lasciato a me e alla mia squadra una città con i conti in ordine’”. Tuttavia, il giudizio della Corte dei Conti è diverso: “Nel 2016 – scrivono i magistrati contabili – la spesa corrente risulta in diminuzione e la riscossione in competenza nel 2015 risulta accettabile e in miglioramento. Ciò dimostra l’impegno dell’amministrazione nel risanamento della situazione ed i primi tangibili risultati”. Insomma, osservano i Radicali: “Molto ancora da fare, certo. Ma la strada di riduzione del debito, il quasi dimezzamento dell’ammontare dei contratti derivati, il più che dimezzamento dei residui attivi e passivi e il debito verso le partecipate, con il concomitante mantenimento dell’anticipazione di tesoreria a un livello controllato sono l’eredità delle giunte precedenti. Altro che buco di bilancio!”. Nel dossier si parla anche di cultura, trasporti, sicurezza e immigrazione. Delle occasioni perse dal Comune di Torino sulla cultura ci siamo già occupati sul Foglio (la mostra su Manet saltata, le manifestazioni perdute come il Torino Jazz Festival e Fringe e la rassegna jazz nei locali e lungo i Murazzi). Tutt’altro che all’avanguardia anche la gestione dei trasporti, dicono i Radicali: “Avere una seconda linea della metropolitana sarebbe lo strumento per valorizzare settori della città oggi dimenticati, a cominciare da quelle periferie di Torino-nord sempre evocate”. Dopo oltre un decennio di riflessioni e progetti la giunta ha calato “il sipario sulla seconda linea della metropolitana con una lungimiranza pari a quella di chi per decenni aveva imposto alla città di non realizzare nemmeno la prima”. Quanto alla sicurezza, la sindaca in campagna elettorale si era impegnata con i rappresentanti della polizia per una riorganizzazione del corpo per il contrasto ad abusivismo e criminalità, ma durante questo anno, nonostante le deleghe alla sicurezza siano rimaste a lei, “non ha mai visitato il Comando di via Bologna o le sezioni territoriali. Nessun confronto costruttivo con gli operatori di Polizia Locale, anzi alcuni Nuclei sono stati smembrati o ridotti del 50 per cento”. Insomma, non un granché questo primo anno di governo a Cinque stelle.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.