Carlo Calenda (foto LaPresse)

L'interesse nazionale non si fa in deficit

Mario Baldassarri

Se il sistema Italia oggi è fragile e facile preda degli altri, è perché siamo stati noi ad averlo ridotto così

Sono d’accordo con il punto centrale esposto dal ministro Calenda: “Dobbiamo metterci in sicurezza con un piano straordinario, ragionare come sistema paese, tutelare in modo più netto gli interessi nazionali, avviare una vera politica di inclusione sociale per contrastare il populismo. Anche prendendoci tutti gli spazi di bilancio che servono”. Sono parole condivisibili, a patto che ci s’intenda su cosa significhi “tutti gli spazi di bilancio che servono”.

 

Spero che Calenda precisi che non vuol dire più deficit e debito, perché sarebbe da irresponsabili. Da almeno venti anni sappiamo che su 820 miliardi di spesa pubblica ci sono 50 miliardi di sprechi e malversazioni, come affermato più volte dalla Corte dei Conti, e che mancano 100 miliardi di evasione fiscale. Solo un esempio: abbiamo erogato per venti anni 35 miliardi di euro all’anno di fondi perduti, un totale di 700 miliardi, poco meno della metà del nostro debito pubblico. L’Italia non può fare finta che questi 150 miliardi all’anno continuino a esserci da qui fino all’eternità e chiedere maggiori spazi di bilancio con più deficit e più debito. Questi significano solo più tasse future. Gli spazi di bilancio sono già all’interno del bilancio: se si iniziano a tagliare sul serio gli sprechi si liberano risorse riducendo anche deficit e debito.

 

L’altro punto della politica economica del governo è la difesa degli “interessi nazionali” attraverso la costruzione di “una rete fatta di grandi aziende pubbliche e private e di istituzioni finanziarie capaci di muoversi in modo coordinato insieme al governo”. Ancora una volta, il concetto di una rete è anche condivisibile: ma di cosa parliamo in concreto? Le grandi aziende private non esistono più e quelle pubbliche sono comunque quotate e partecipate da fondi internazionali. Quali sono le istituzioni finanziarie italiane capaci di muoversi? E poi perché insieme al governo? Il governo si mette a fare strategie industriali e finanziarie? Più che impicciarsi di queste cose, la priorità del governo dovrebbero essere il bilancio pubblico, la crescita e la riduzione della disoccupazione. Si ricostruisce il paese se ognuno fa bene il proprio mestiere, non quello degli altri. Può essere un obiettivo la difesa dei campioni nazionali, ma questi senza la lunga crisi non avrebbero difficoltà finanziarie e non sarebbero prede. Se l’Italia fosse un paese forte e produttivo non ci sarebbe l’assalto alla pecora più debole, gli stranieri investirebbero sul serio e non per papparsi le spoglie. Tutti siamo per l’italianità, ma per un’Italia forte capace di competere con i sistemi europei e del resto del mondo, mentre invece molto spesso dietro lo slogan della “difesa dell’italianità” dagli stranieri c’è l’ipocrisia di non rendersi conto delle nostre colpe. Se il sistema Italia oggi è fragile e facile preda degli altri, è perché siamo stati noi ad averlo ridotto così.

 

Mario Baldassarri è presidente Centro studi Economia reale 

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