I danni generati alle banche italiane dagli errori del sistema di vigilanza

Paolo Cirino Pomicino

Un organo di vigilanza, i cui componenti peraltro non hanno mai avuto un’esperienza bancaria sul campo, ha progressivaente assunto un comportamento intrusivo nella gestione che non ha precedenti nella storia democratica dell’occidente

Al direttore - Tutti si chiedono cosa accadrà all’indomani del risultato referendario sui mercati finanziari con particolare attenzione al nostro sistema bancario. Se si eccettua qualche giorno di volatilità sui mercati sia che vinca il Sì sia che vinca il No, non accadrà nulla, se non la riproposizione di problemi antichi e sinora non risolti del nostro sistema bancario. Le banche, come si sa, non sono nel cuore degli italiani e neanche nel cuore dei popoli dell’occidente avendo assunto, nel tempo, il volto nefasto del capitalismo finanziario. Un errore concettuale grave. Guai se nell’economia di mercato non ci fossero istituti di credito! Il mostro vero sta altrove, nei mercati finanziari e nella loro sciagurata deregolamentazione e ingegnerizzazione. Per questo motivo abbiamo salutato con un applauso l’ultimo discorso in ordine di tempo del presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, che ha lanciato un grido di allarme contro l’azione scioccamente perversa della vigilanza bancaria europea, organo della Bce e diretta dalla francese Daniele Nouy. Patuelli spiega nel suo grido di dolore come l’azione della vigilanza europea stia accelerando la crisi delle banche italiane.

Per dirla in breve, la vigilanza europea sta vanificando in larga parte gli obiettivi che la stessa Bce si era posto con il quantitative easing e che sostanzialmente si identificavano nella stabilità finanziaria e nella ripresa della crescita economica. Il principale strumento di “oppressione” è quello del’accantonamento per ogni euro di credito che si eroga. Questo accantonamento, a sua volta, è legato a un algoritmo che elabora la qualità della domanda di credito sulla base di alcuni numeri del conto economico. In parole semplici: valgono poco o niente il core business dell’azienda, la sua storia e quella dell’imprenditore, per cui da un lato i dirigenti bancari si deprofessionalizzano sempre di più e dall’altro gli imprenditori non trovano più un istituto capace di fare banca valutando tutti gli elementi descritti. Il risultato di questa azione perversa della vigilanza europea spinge inevitabilmente gli istituti di credito più verso le attività finanziarie che non verso il credito all’economia reale. Ma l’oppressione va ben oltre. Sembra che addirittura la vigilanza entri nella gestione concreta delle banche non con delle prescrizioni motivate sul piano generale o dopo ispezioni, ma chiedendo di partecipare alle riunioni dei consigli di amministrazione non per ascoltare ma per dare input gestionali con la forza imperiosa del controllore. Aspettiamo di conoscere proprio dall’Abi e dal suo presidente se ciò che diciamo corrisponde al vero.

Dopo aver letto con attenzione il discorso di Patuelli intravedendo tra le righe anche ciò che non dice esplicitamente, la domanda è naturale: Mario Draghi, che peraltro resta il governatore della Banca centrale europea e quindi della vigilanza, è a conoscenza di questi comportamenti e degli effetti che ne derivano? Dovremmo chiedere anche ai componenti della Commissione per gli affari economici e monetari del Parlamento europeo se sanno di queste degenerazioni, e allo stesso governo che è, insieme agli altri governi nazionali, il vero legislatore europeo. D’altro canto, la legislazione bancaria di questi ultimi anni ha visto mostri giuridici come la direttiva del bail-in che dinanzi agli eventuali default delle banche non solo impedisce agli esecutivi nazionali di poter intervenire per salvarle ma poi chiede agli stessi stati membri di mettere mano alle tasche per ripagare i creditori e addirittura coinvolge i grandi depositanti che saranno costretti anch’essi a pagare per gli errori degli amministratori.

Insomma, è un sistema di norme che rasenta la schizofrenia al quale paesi liberisti come Gran Bretagna e Stati Uniti si guardano bene dall’aderire. Un organo di vigilanza, i cui componenti peraltro non hanno mai avuto un’esperienza bancaria sul campo, ha dunque progressivaente assunto un comportamento intrusivo nella gestione che non ha precedenti nella storia democratica dell’occidente. E’ tempo che governo, Parlamento e Consob prendano atto delle distorsioni che si stanno creando tra controllori e controllati e valutino gli effetti che improvvidi annunci della vigilanza bancaria non legati a provvedimenti finiscono per avere sui titoli bancari prima che la vita delle banche assuma proporzioni devastanti o che si cerchi di mettere sulle spalle di un referendum democratico colpe che stanno sulle spalle della Bce, del Parlamento europeo e dei governi nazionali. 

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